venerdì 29 gennaio 2021

[ITA] Capitolo 8 : Le forze del destino

57 a.C.

Cesare fu capace di sconfiggere Galba, il re dei Suessioni, nella battaglia del fiume Axona. I Suessioni erano una tribù di origine Belga ed avevano schierato trecentoseimila soldati contro i trentaseimila legionari Romani. La battaglia fu lunga e sfiancante ma alla fine Cesare costrinse Galba alla ritirata. I Romani continuarono ad avanzare ormai spinti dal desiderio di conquista più che da quello di difendere gli Edui.
Diviziaco, incontrò Cesare nel suo accampamento, era da sola che stava leggendo una lettera del Senato.
"Cesare, cosa stai facendo? Perché attaccare i Belgi?"
"Sono possibili nemici, Diviziaco, tu lo sai. Gli Edui non possono difendersi senza Roma e ora sto prendendo delle precauzioni."
"Ma Galba … non ci ha mai minacciato."
"Dove vuoi arrivare, Diviziaco? Sto solo facendo ciò che è giusto per la mia gente e per la tua gente. Sto difendendo i confini di Roma e della tribù degli Edui. Stai forse insinuando che è sbagliato combattere per il popolo?"
"No, Cesare, ma percepisco nelle tue battaglie un’energia malefica. È come se non fossi veramente interessata al bene del popolo ma solo alla conquista."
"Diviziaco," si girò "ascolta, io non sono-"
Cesare vide una ragazza dietro a Diviziaco, questa aveva un aspetto umile ed era sporca di polvere; non aveva calzature e i suoi capelli biondi erano imbrattati di fango. Quella gracile fanciulla se ne stava nascosta dietro il druido come per non farsi vedere.
"Chi è quella ragazza? La tua schiava?"
"Aria. Una delle due figlie di Ariovisto. Sua sorella era stata uccisa in Alsazia, lei è stata abbandonata dal padre ed io ho deciso di proteggerla."
"Perché è qui?"
"Lei voleva vederti."
"Diviziaco, portala via, sai perfettamente che non ho bisogno di una schiava. Se vuoi puoi darla a qualcuno dei miei uomini, scommetto che un passatempo potrebbe fare comodo a loro."
"Non è una schiava, Cesare … è una principessa."
"La principessa dei Barbari può diventare o la schiava dei Romani o la cena dei lupi, Diviziaco. Che tu ci creda o no sono un po’ impegnata al momento e non ho intenzione di-"
Aria si gettò ai piedi di Cesare, con il capo chinato chiese pietà e supplicò:
"Portatemi con voi, Cesare, fate di me quello che volete, ma lasciatemi al vostro fianco. Io ho visto, ho visto druidi evocare il male, il serpente divoratore, mio padre ignorò le mie paure ma Roma deve intervenire! Cesare, con la spada sacra, combatti il male. La terra ha ruggito, il cielo si è oscurato e solo la tua lama può sconfiggere quel male."
Cesare si alzò e ignorò le richieste della fanciulla; quindi, rivolgendosi a Diviziaco, disse:
"Portala via. Voi Edui odiate Ariovisto, no? Ora avete sua figlia come schiava. Gli Edui potranno fare quello che vorranno con costei, purché la portino lontana da me. Non ho tempo da perdere per certe scemenze."
"Cesare, ascoltala, io so di che cosa sta parlando. Ho percepito la stessa cosa" disse Diviziaco, preoccupato.
"Siete tutti ammattiti."
Aria bloccò il cammino di Cesare, in lacrime si gettò addosso di lei e la supplicò di darle ascolto. Cesare si stava innervosendo, era sul punto di usare la spada ma Diviziaco la intimò di trattenersi, non bisognava spargere del sangue innocente.
"Bene, mocciosa, credi nel potere di questa spada?" domandò Cesare ad Aria.
"Sì, ci credo. È una spada divina. Gli Dei ti proteggono. Tu, la prescelta, hai il diritto di decidere sulla mia vita ma ascolta le mie parole, ti supplico: il male sta sorgendo e tu devi fermarlo."
"Sei patetica. Se sei davvero la principessa dei Germani dovresti comportarti come tale. È per colpa di persone come te se quelle come me saranno sempre viste come deboli. Fatti crescere una spina dorsale oppure levati dalla mia strada, mi sei solo d’intralcio."
Cesare si rifiutò di essere seguita da Aria e la affidò a Diviziaco. I Romani si spostarono lungo il fiume Sabis, nel frattempo giunse l’inverno e Cesare allestì un accampamento su di un’altura sperando di non essere attaccata dai Belgi ma il comandante delle forze nemiche, Boduognato, quando vide i Romani non perse l’occasione per attaccarli con i suoi ottantacinquemila soldati. I Romani vennero colti impreparati, molti vennero uccisi e altri cercarono di resistere all’attacco nemico, Cesare ordinò a Diviziaco di mettere al sicuro Aria e poi raggiunse Tito Labieno per organizzare il contrattacco.
Alcuni legionari si stavano già ritirando e i Belgi non smettevano di attaccare. Cesare, allora prese lo scudo di un suo legionario e la spada di un altro, uccise il primo nemico, poi il secondo e anche il terzo. Parando e colpendo, la giovane donna si faceva strada verso i legionari che stavano resistendo e poi, quando questi la videro arrivare, si emozionarono. Lei sollevò l’arma ed urlò:
"Noi non cadremo! Il mio destino è nelle vostre mani ed il vostro è nelle mie mani! Insieme dimostreremo la forza di Roma!"
I legionari, con una nuova energia, riuscirono a respingere i continui attacchi nemici. I Belgi e i Viromandui andavano avanti ad attaccare ed i Romani resistevano come potevano. Cesare vide arrivare Boduognato con la sua enorme ascia e con quella stazza simile a quella di un toro. La ragazza, senza esitare, iniziò un duello con quell’uomo ma senza pensare ai rischi. Boduognato con una mano le strappò lo scudo e le diede un calcio allo stomaco; la ragazza cadde a terra, rotolò nel fango e si fermò sulla riva del fiume. Raccolse la spada e tentò di ferire il nemico ma Boduognato sembrava invincibile. Egli, afferrando la ragazza per la gola, esclamò, divertito:
"Roma non potrà mai affrontare il mio esercito! Ariovisto era debole ma io posso sconfiggere i vostri piccoli uomini come se fossero formiche!"
Cesare venne lanciata a terra, si rialzò, Boduognato sferrò un colpo con l’ascia che spezzò la sua spada; ora, oltre ad essere sfinita, era anche disarmata.
"Le armi Romane sono davvero fragili!" esclamò lui, ridendo.
"LA SPADA!" Era Aria, su un’altura assieme a Diviziaco. "USA LA SPADA!"
Cesare finse di non ascoltare, preferì combattere disarmata piuttosto che fare affidamento sul potere divino. Schivò i primi colpi d’ascia e poi, con grande agilità, saltò sulle spalle del nemico e iniziò a prendergli a pugni la testa; tuttavia quel mostro muscoloso fu in grado di liberarsi dalla presa della ragazza.
"CESARE!" urlò Aria, spaventata.
"FAI SILENZIO!"
Cesare si era distratta solo per un attimo e quando si girò vide la lama dell’ascia andarle contro. Dal terreno sorse improvvisamente una quercia che fermò il colpo di Boduognato. La ragazza si voltò e vide avvicinarsi Diviziaco. Capì subito che era stato lui a compiere quel miracolo.
"Non c’è imbarazzo ad ammettere di aver bisogno di Crocea Mors per vincere" disse lui.
"Invece sì. Non ho intenzione di affidarmi ad un potere divino per vincere questa battaglia."
"Preferiresti morire?"
"Non morirò."
"Invece sì. La tua strada si concluderà oggi stesso se non userai quell’arma."
"Mi stai minacciando, druido?"
"Ti sto dicendo quello che accadrà se rifiuterai l’aiuto divino. Cos’è più importante per te, Gaio Giulio Cesare? Il tuo stupido orgoglio o il tuo sogno?"
La ragazza non guardò in faccia Diviziaco, con una mano lo allontanò da sé e con l’altra si aiutò a rimettersi in piedi. Boduognato stava ancora cercando di togliere l’ascia che si era conficcata nel tronco dell’albero. Tirò un sospiro infastidito ma rassegnato.
"Me la pagherai" mormorò.
Cesare, allora, decise di sfoderare Crocea Mors e con un singolo fendente tagliò in due Boduognato. Gli altri Belgi videro il loro comandante morire ma questo non li intimorì, anzi, si infuriarono ancora di più e la ragazza, in un momento di rabbia, decise di usare nuovamente la spada. Un fendente magico che brillava come il sole, uccise diecimila Viromandui in un solo colpo. I Belgi si ritirarono, spaventati dalla potenza di quell’arma magica.
I legionari festeggiarono ma Cesare era solo felice di essere sopravvissuta non di aver usato quell’arma.
"Hai fatto la cosa giusta, Cesare" disse Diviziaco con un sorriso soddisfatto.
"Lo dici solo perché non hai tu questo fardello."
"No. Lo dico perché so che il possedere quell’arma ti rende l’eroe di cui tutti abbiamo bisogno."
Dopo la battaglia del fiume Sabis, i Romani conquistarono Namur e riuscirono ad ottenere il controllo dell’attuale Belgio. Cesare, fiera del suo successo militare, fece sapere al Senato delle sue vittorie e mentre molti senatori erano contenti uno, il rivale di Cesare, sospettava che quelle campagne fossero solo un mezzo per ottenere potere: Catone l’Uticense.
Cesare era al corrente della sua popolarità a Roma ma invece di fermarsi e di tornare a casa, decise di mandare ingenti quantità di schiavi alla capitale solo per poter ottenere il favore degli aristocratici e del Senato; lo scopo di Cesare era chiaramente quello di far tacere ogni possibile critica, voleva stroncare l’opposizione dando a quegli uomini affamati di potere ciò che volevano. Ma mentre gli aristocratici erano compiaciuti della bontà di Cesare, ignoravano che lei stava ottenendo sempre più successo fra il popolo e anche fra i suoi legionari. Catone, incorruttibile, cercò più volte di denunciare la ragazza ma senza successo.
In Gallia, intanto, nell’accampamento Romano di Cesare, la ragazza era appena uscita dalla sua tenda quando venne intercettata da questo giovane ragazzo con i capelli corti, bruni e gli occhi verdi, armato di lancia.
"Cesare, è accaduto di nuovo!"
"Cosa succede, Piccolo Crasso?" domandò lei sospirando.
"Fabato ha insultato mia madre!"
"Va bene … adesso seguimi." Cesare si avviò seguita dal giovane Publio Licinio Crasso, il figlio di Marco Licinio Crasso.
I due raggiunsero questo piccolo falò attorno al quale erano seduti quattro uomini. Cesare interpellò quello che aveva gli occhi di un colore blu molto scuro che indossava la pelle di capra che copriva anche il capo. Quando questo vide la ragazza mise da parte la sua ciotola di cibo, si alzò ed esclamò felicemente:
"Capo, che bello rivederti!"
"Fabato, tesorino, hai per caso insultato la madre del Piccolo Crasso?"
"Io non insultato nessuno, giuro."
"Dai, sappiamo entrambi che lo hai fatto."
"Lo hai fatto, ammettilo!" esclamò Crasso restando alle spalle di Cesare.
"Ma perché tratti Cesare come se fosse tua madre? Devi sempre andare a piangere da lei?" domandò Fabato, innervosito.
"Potete, per favore, smetterla di fare i bambini? Fabato, cosa hai detto della madre del Piccolo Crasso?"
"Ho solo detto che è una lupa."
"Povera Tertulla," disse Cesare dando delle leggere pacche sulla spalla di Crasso "però, ora che ci penso bene, è una che non si è fatta molti problemi ad usare la sua bocca con me." Fece l’occhiolino.
"No, no! Stai mentendo, vero?"
"Forse sì, forse no … questo lo possiamo sapere solo io e tua madre, Piccolo Crasso."
Fabato e gli altri uomini si misero a ridere. Insieme a Lucio Roscio Fabato c’erano Lucio Munazio Planco, Publio Sesto Baculo e Gaio Crastino. Costoro erano fra i soldati più valorosi e fedeli a Cesare.
Giunse un uomo dai capelli neri, lunghi, con occhi verdi e con una corporatura robusta; insieme a lui c’era un uomo con i capelli rossi, corti, una barba ben curata e gli occhi dello stesso colore del legno. Il primo si rivolse a Cesare:
"Abbiamo ricevuto notizie dei movimenti nemici. I Barbari del posto hanno parlato di alcuni popoli che stanno organizzando degli eserciti per attaccarci."
Cesare, con uno sguardo sconvolto, guardò quell’uomo.
"No. Scherzi. Non possono ancora combattere. Abbiamo sottomesso gran parte dei popoli della Gallia, i grandi re sono stati sconfitti, tutte le tribù hanno giurato fedeltà a Roma, perché combatterci?"
"Non accettano la nostra presenza in queste terre."
"Marco Antonio, tu sei il più fidato dei miei uomini, lo sai che ti considero uno dei miei migliori soldati, ma se tu mi vieni a dire certe scemenze, io non posso-"
"Sono i Veneti, Cesare."
"I Veneti?"
"Proprio loro. Il loro capo ha decretato che tutti i popoli alleati a Romani dovranno essere distrutti se oseranno giungere nel loro territorio. Stanno organizzando le navi. Secondo i nostri calcoli per l’estate saranno pronti con una flotta di quasi trecento navi."
"No. No!" esclamò la ragazza, presa dall’ansia. "Non siamo pronti! Non abbiamo navi! Non abbiamo una flotta per combattere i Veneti! Hanno il vantaggio …"
L’uomo dietro Marco Antonio, il cui nome era Quinto Azio Varo, disse:
"Però possiamo chiedere alle tribù della Gallia di fornirci delle navi."
"E quante di queste tribù hanno esperienza nella navigazione?" domandò Cesare, perplessa.
Nessuno rispose.
"Nessuna di loro" disse Diviziaco, giunto nell’accampamento insieme ad Aria. "I Veneti sono i migliori navigatori che si conoscano. Nessun popolo della Britannia, della Gallia o della Germania può competere con le loro navi."
"Allora attacchiamo le loro città!" esclamò Fabato, preso dalla rabbia.
"Inutile, le loro città sono difese da alte mura e anche dalla marea che rende l’accesso praticamente impossibile. Un assedio sarebbe folle" spiegò Diviziaco.
"Ma tu cosa ne sai druido?"
"Taci, Fabato!" affermò, Cesare.
Il giovane uomo si placò e tornò a mangiare insieme agli altri. La ragazza si voltò verso Diviziaco.
"Non ho intenzione di abbandonare la Gallia. Se i Veneti vogliono la guerra allora io darò loro la guerra. Li ammazzerò tutti, le loro donne e i loro bambini saranno schiavi e gli uomini saranno massacrati dal primo all’ultimo. Bruceremo le loro città e cospargeremo di sale la loro terra. Nessuno affronta Gaio Giulio Cesare e vive per vantarsene!"
Quelle parole emozionarono i legionari che lanciarono un grido di battaglia mentre Diviziaco ed Aria rimasero traumatizzati dalla sua malvagità. Non c’era niente di divino nelle parole di Cesare, non c’era niente di buono, niente di onesto … come potevano, le divinità, aver scelto lei?

56 a.C.

Diverse popolazioni della Gallia non accettarono il dominio dei Romani e si schierarono con i Veneti solo per uccidere Cesare. Grazie a Publio Sesto Baculo, la ragazza venne a conoscenza di come erano costruite le navi dei suoi nemici e si preparò per la battaglia navale.
La flotta dei Veneti era composta da trecento navi mentre quella Romana era composta da centoventi navi costruite dai Galli. Le navi dei Veneti erano grosse, molto resistenti, rinforzate con il ferro mentre quelle dei Romani erano più leggere e fragili; la tattica dei nemici di Cesare era solitamente quella di far scontrare la nave con quella nemica in modo da distruggerla, una tattica suicida ma allo stesso tempo estremamente efficace. L’unico modo per evitare lo scontro era rendere la nave impossibile da manovrare e l’unico modo per fare ciò era usare delle falci molto grandi con cui distruggere i pennoni delle navi nemiche; con questo strumento semplice le pesanti navi dei Veneti perdevano il controllo e potevano essere facilmente circondate.
I Romani, che preferivano il combattimento corpo a corpo, iniziavano l’arrembaggio e uccidevano i nemici.
In questo modo Cesare sconfisse i Veneti ma decise di non distruggere le città, tuttavia prelevò molte donne e molti bambini che vendette come schiavi.
Dopo la lunga battaglia, Cesare, si recò nel sua tenda dove ad attenderla c’era Aria, da sola, che si stava lavando. Cesare si mosse tranquillamente, appoggiò la sua arma e si accomodò davanti al tavolo sul quale c’era la mappa della Gallia disegnata da lei.
"Non è carino lavarsi nella tenda di qualcun altro."
Aria mise i piedi fuori dal catino e senza rispondere a Cesare indossò la sua veste marrone e si mise i sandali.
"Mi ero stancata di aspettarti."
"Nessuno ti aveva chiesto di farlo."
"Volevo parlare con te, e poi pensavo che la ‘grande’ Cesare avrebbe sconfitto i Veneti in meno tempo."
"Non mi piace il modo in cui parli, mocciosa. Che cosa vuoi?"
"Quante persone dovranno soffrire per te? Per il tuo stupido sogno? Quante donne e quanti bambini dovranno essere sottoposti ai più tremendi tormenti? Quand’è la tua sete di potere avrà fine?"
"E se io decidessi di continuare fino la mia morte? Cosa potresti mai fare tu? Chi ha il potere di fermarmi? Da quando sono arrivata qui non ho fatto nient’altro che vincere. Ho sconfitto qualsiasi nemico, tutte le tribù che hanno osato affrontarmi sono state sottomesse e tutti coloro che hanno cercato di ribellarsi sono stati distrutti. Dimmi, allora, cosa faresti se io decidessi di proseguire la conquista fino alla fine del mondo?"
"Tu sei pazza, Cesare, questo atteggiamento è da pazzi." Aria era visibilmente spaventata.
"Con chi credi di parlare, mocciosa? È solo grazie alla mia benevolenza se tu sei ancora viva. Non sono come te, sono superiore a te. Tu ti crogioli nella tua debolezza, io sono diventata potente e posso diventarlo ancora di più! Sarò così potente che l’intero mondo dovrà ricordarsi di me!"