Grazie agli aiuti di Marco Licinio Crasso, Cesare, riuscì a fare molta strada in politica e fu eletta questore, tuttavia qualcosa di terribile segnò la sua vita per sempre. Sua moglie, Cornelia, morì di parto; mise al mondo una figlia che venne chiamata Giulia, questa piccola bambina non era, tuttavia, figlia di Cesare ma bensì di una feroce violenza.
69 a.C.
Cesare si trovava fuori dalla sua villa, si stava dirigendo al foro dove lei aveva voluto che venisse celebrata la moglie deceduta; Gneo Pompeo Magno sorprese la ragazza con la sua visita, le fece le condoglianze e poi si offrì di accompagnarla fino al foro.
"Ho saputo che è stato un sillano, mi dispiace che quei cani siano ancora in circolazione. Ti prometto che gli elimineremo uno ad uno."
"No, non voglio inutili spargimenti di sangue. Mi basta sapere che il colpevole è morto, ma pensare che le sue gesta hanno provocato la morte di Cornelia … mi fa infuriare."
"Hai il mio appoggio, Cesare."
"Grazie, Pompeo."
"Tuttavia sono venuto a sapere di Crasso e dei soldi che ti sta dando."
"Dunque?"
"Abbandonalo. Non sa niente di politica né di potere, è solo un maiale tracotante che desidera diventare più ricco. Vuole sfruttarti e quando non saprà più cosa farne di te ti getterà nella spazzatura."
"Quindi, cosa mi proponi di fare?"
"I soldi non ti servono, ciò che ti serve è l’esercito. Hai bisogno di vittorie militari, solo così riuscirai a raggiungere la vetta più facilmente. Guarda me, io so di cosa parlo. Se io e te ci alleassimo potremmo cambiare Roma assieme e impedire delle disgrazie come quella che ha colpito la povera Cornelia. Sei un’oratrice con molto talento, sei bravissima in politica e insieme possiamo purificare l’Urbe."
"Ci penserò, Pompeo. Ma ora vorrei dedicarmi alla mia amata Cornelia, se non ti dispiace."
"Come desideri, ma pensaci."
"Va bene … va bene."
Non era una cosa comune pronunciare elogi funebri a giovani donne, a Roma la donna in giovane età praticamente non contava niente, non era una matrona e non aveva fatto nulla nella vita, ma Cesare non pensava come una comune Romana. Lei organizzò il funerale di sua moglie Cornelia per celebrarla come se fosse stata una matrona, anzi, forse più importante di una matrona. Davanti a migliaia di cittadini, fra cui c’erano Pompeo e Crasso, pronunciò il suo discorso:
"Per me, lei, era il mondo. Valeva più dell'oro e della mia vita. La mia anima gemella, la mia amica, la mia unica vera alleata e la donna che ho cercato di proteggere con tutte le mie forze dai mali di questa Roma corrotta dall’arroganza, dall’ingordigia e dalla malvagità. Con che diritto pronuncio queste accuse, mi chiedete? Io sono Gaio Giulio Cesare, io discendo da Venere e nelle mie vene scorre il sangue sacro dei re, la mia famiglia è legata al grande Enea e a Romolo, figlio di Marte. Con questo diritto io denuncio questa Roma e piango sapendo di aver fallito nel mio compito di proteggere mia moglie, la mia innocente moglie che non aveva mai fatto nulla di male a nessuno. Ma con questo medesimo diritto io dichiaro che mia moglie sarà l’ultima! Nessun cittadino, dopo di lei, soffrirà a causa di questa Roma ingiusta! Nessun cittadino, dopo di lei, sarà costretto a piangere per colpa di un governo corrotto nelle radici! Io giuro, davanti a tutti voi, giuro sul mio diritto, davanti a tutti a voi, figlie e figli di Roma, donne e uomini di Roma, io giuro che cambierò questo mondo con le mie mani, darò a tutti voi la felicità che meritate, la pace che meritate, la giustizia che meritate! Ma, ahimè, con queste mie mani io, da sola, non posso fare niente, io sono solo una donna, e per questo vi chiedo di concedermi il vostro potere, date potere a queste mie mani, ed io creerò un nuovo mondo! Concedete il potere a questa povera donna ed io rifonderò Roma!"
69 a.C.
Cesare si trovava fuori dalla sua villa, si stava dirigendo al foro dove lei aveva voluto che venisse celebrata la moglie deceduta; Gneo Pompeo Magno sorprese la ragazza con la sua visita, le fece le condoglianze e poi si offrì di accompagnarla fino al foro.
"Ho saputo che è stato un sillano, mi dispiace che quei cani siano ancora in circolazione. Ti prometto che gli elimineremo uno ad uno."
"No, non voglio inutili spargimenti di sangue. Mi basta sapere che il colpevole è morto, ma pensare che le sue gesta hanno provocato la morte di Cornelia … mi fa infuriare."
"Hai il mio appoggio, Cesare."
"Grazie, Pompeo."
"Tuttavia sono venuto a sapere di Crasso e dei soldi che ti sta dando."
"Dunque?"
"Abbandonalo. Non sa niente di politica né di potere, è solo un maiale tracotante che desidera diventare più ricco. Vuole sfruttarti e quando non saprà più cosa farne di te ti getterà nella spazzatura."
"Quindi, cosa mi proponi di fare?"
"I soldi non ti servono, ciò che ti serve è l’esercito. Hai bisogno di vittorie militari, solo così riuscirai a raggiungere la vetta più facilmente. Guarda me, io so di cosa parlo. Se io e te ci alleassimo potremmo cambiare Roma assieme e impedire delle disgrazie come quella che ha colpito la povera Cornelia. Sei un’oratrice con molto talento, sei bravissima in politica e insieme possiamo purificare l’Urbe."
"Ci penserò, Pompeo. Ma ora vorrei dedicarmi alla mia amata Cornelia, se non ti dispiace."
"Come desideri, ma pensaci."
"Va bene … va bene."
Non era una cosa comune pronunciare elogi funebri a giovani donne, a Roma la donna in giovane età praticamente non contava niente, non era una matrona e non aveva fatto nulla nella vita, ma Cesare non pensava come una comune Romana. Lei organizzò il funerale di sua moglie Cornelia per celebrarla come se fosse stata una matrona, anzi, forse più importante di una matrona. Davanti a migliaia di cittadini, fra cui c’erano Pompeo e Crasso, pronunciò il suo discorso:
"Per me, lei, era il mondo. Valeva più dell'oro e della mia vita. La mia anima gemella, la mia amica, la mia unica vera alleata e la donna che ho cercato di proteggere con tutte le mie forze dai mali di questa Roma corrotta dall’arroganza, dall’ingordigia e dalla malvagità. Con che diritto pronuncio queste accuse, mi chiedete? Io sono Gaio Giulio Cesare, io discendo da Venere e nelle mie vene scorre il sangue sacro dei re, la mia famiglia è legata al grande Enea e a Romolo, figlio di Marte. Con questo diritto io denuncio questa Roma e piango sapendo di aver fallito nel mio compito di proteggere mia moglie, la mia innocente moglie che non aveva mai fatto nulla di male a nessuno. Ma con questo medesimo diritto io dichiaro che mia moglie sarà l’ultima! Nessun cittadino, dopo di lei, soffrirà a causa di questa Roma ingiusta! Nessun cittadino, dopo di lei, sarà costretto a piangere per colpa di un governo corrotto nelle radici! Io giuro, davanti a tutti voi, giuro sul mio diritto, davanti a tutti a voi, figlie e figli di Roma, donne e uomini di Roma, io giuro che cambierò questo mondo con le mie mani, darò a tutti voi la felicità che meritate, la pace che meritate, la giustizia che meritate! Ma, ahimè, con queste mie mani io, da sola, non posso fare niente, io sono solo una donna, e per questo vi chiedo di concedermi il vostro potere, date potere a queste mie mani, ed io creerò un nuovo mondo! Concedete il potere a questa povera donna ed io rifonderò Roma!"
La folla esultò, estasiata dal discorso di Cesare, quelle parole accesero fuochi come quelli del sole e sorrisi eccitati con lacrime di gioia, persino Crasso e Pompeo non furono in grado di trattenere la loro felicità sentendo, ma nei loro cuori covavano l’intenzione di manipolare quella ragazza per poter realizzare le loro ambizioni personali.
Dopo i funerali, Cesare, fece ritorno alla villa dove la stava attendendo la madre assieme a due sacerdoti che stavano reggendo insieme un’arma coperta da della stoffa rossa.
"Cesare, sei tornata."
"Madre, cosa sta succedendo? Cosa fanno quei sacerdoti qui?"
"Li ho fatti arrivare io; il momento, per te, è giunto."
"Di che stai parlando?" Cesare era confusa.
"Non lo capisci? Non ti sei mai chiesta perché non invecchi? Non ti sei mai chiesta perché hai i capelli bianchi e gli occhi rossi? Non hai mai cercato di domandarti da dove viene la tua bellezza? Tu non sei mortale, nelle tue vene scorre il sangue divino, tu sei speciale. Ho saputo delle tue campagne e ho saputo delle vittorie che hai ottenuto e così ho chiesto alla vestale che ti ha visto nascere di concedermi la spada che adesso riceverai."
"Spada?"
"Sì." Rispose Aurelia sollevando la coperta di stoffa rossa rivelando la bellissima spada.
Cesare rimase a bocca aperta davanti ad un’arma così finemente decorata, così bella e raffinata.
"Crocea Mors. Questa spada è molto antica. Si dice che appartenesse a Romolo che combatteva con una lancia e con una spada. La lama venne forgiata da Marte stesso usando l’anima della deceduta Rea Silvia. In questa lama c’è lo spirito di una madre in pena ed anche il potere del dio della guerra. L’arma venne impugnata da tutti e sette i re di Roma ma poi venne lasciata alle vestali, ormai quasi nessuno crede nel suo potere, molti la vedono come una semplice reliquia ma in realtà è un’arma divina che solo i discendenti di Romolo possono impugnare. La spada è tua, Cesare."
"Quindi questa spada è divina," guardò la madre negli occhi e sollevò un sopracciglio "ironico che solo adesso quelle divinità si preoccupino di me."
"Accetta la spada, figlia mia, è il tuo destino."
"Se io rifiutassi questo dono tu piangeresti ed io non voglio questo. Il mio amore per te, madre, è l’unica ragione per la quale accetterò questa spada." Impugnò l’arma.
"Grazie-"
"Sappi, tuttavia, che non la userò mai in battaglia. Io non ho bisogno di nessun aiuto divino per vincere le mie battaglie. Io ho sempre combattuto da sola e continuerò a farlo."
Dopo i funerali, Cesare, fece ritorno alla villa dove la stava attendendo la madre assieme a due sacerdoti che stavano reggendo insieme un’arma coperta da della stoffa rossa.
"Cesare, sei tornata."
"Madre, cosa sta succedendo? Cosa fanno quei sacerdoti qui?"
"Li ho fatti arrivare io; il momento, per te, è giunto."
"Di che stai parlando?" Cesare era confusa.
"Non lo capisci? Non ti sei mai chiesta perché non invecchi? Non ti sei mai chiesta perché hai i capelli bianchi e gli occhi rossi? Non hai mai cercato di domandarti da dove viene la tua bellezza? Tu non sei mortale, nelle tue vene scorre il sangue divino, tu sei speciale. Ho saputo delle tue campagne e ho saputo delle vittorie che hai ottenuto e così ho chiesto alla vestale che ti ha visto nascere di concedermi la spada che adesso riceverai."
"Spada?"
"Sì." Rispose Aurelia sollevando la coperta di stoffa rossa rivelando la bellissima spada.
Cesare rimase a bocca aperta davanti ad un’arma così finemente decorata, così bella e raffinata.
"Crocea Mors. Questa spada è molto antica. Si dice che appartenesse a Romolo che combatteva con una lancia e con una spada. La lama venne forgiata da Marte stesso usando l’anima della deceduta Rea Silvia. In questa lama c’è lo spirito di una madre in pena ed anche il potere del dio della guerra. L’arma venne impugnata da tutti e sette i re di Roma ma poi venne lasciata alle vestali, ormai quasi nessuno crede nel suo potere, molti la vedono come una semplice reliquia ma in realtà è un’arma divina che solo i discendenti di Romolo possono impugnare. La spada è tua, Cesare."
"Quindi questa spada è divina," guardò la madre negli occhi e sollevò un sopracciglio "ironico che solo adesso quelle divinità si preoccupino di me."
"Accetta la spada, figlia mia, è il tuo destino."
"Se io rifiutassi questo dono tu piangeresti ed io non voglio questo. Il mio amore per te, madre, è l’unica ragione per la quale accetterò questa spada." Impugnò l’arma.
"Grazie-"
"Sappi, tuttavia, che non la userò mai in battaglia. Io non ho bisogno di nessun aiuto divino per vincere le mie battaglie. Io ho sempre combattuto da sola e continuerò a farlo."