venerdì 29 gennaio 2021

[ITA] Capitolo 7 : Semiramide in Gallia

58 a.C.

Gli Edui erano una tribù della Gallia molto potente, riconosciuti per la loro immensa forza militare e per la loro influenza politica sulle altre tribù, in più erano molto vicini a Roma che aveva dichiarato che ‘gli Edui erano amici dei Romani’ e come tali nessuno doveva osare attaccarli o minacciare la loro indipendenza. Diviziaco era un importante druido famoso per i suoi poteri magici, nell’Età degli Dei i maghi erano considerati simili a divinità da molti plebei; questo druido il cui nome si traduceva in “il Vendicatore” si presentò nell’accampamento di Gaio Giulio Cesare, con estrema umiltà si mise ai suoi piedi mentre lei stava pianificando assieme ad un suo legatus di nome Tito Labieno. Quando vide Diviziaco domandò:
"Un druido nel mio accampamento? Come mai le guardie ti hanno fatto passare?"
"Il mio nome è Diviziaco, sono il vergobreto degli Edui e sono qui per chiedere aiuto ai Romani. Il mio popolo, la mia gente, sono in pericolo. Il re dei Germani, Ariovisto, ha conquistato gli Arverni e i Sequani e adesso sta mirando ad espandere il suo dominio; prima attaccherà noi e poi si prenderà tutta la Gallia."
"Ariovisto? Alzati, druido, spiegami cosa sta succedendo."
"In passato le tribù degli Arverni e dei Sequani chiesero l’aiuto militare di Ariovisto per sconfiggere il nostro glorioso esercito. Mi rammarica dire che perdemmo ma Ariovisto decise di sottomettere le genti che aveva aiutato, ha ucciso i loro comandanti, ha preso il controllo delle loro piantagioni e dei loro eserciti. Invoco la nostra amicizia, l’amicizia fra Edui e Romani, per combattere i Germani di Ariovisto."
"Tu fai magie," disse Tito Labieno "non puoi fare qualche miracolo per combattere quel re barbaro? Non possiamo sprecare truppe per combattere una guerra contro un re straniero che non ha un problema con Roma."
"Io faccio magie, sì, ma non possiedo quell’arma" rispose Diviziaco indicando la Crocea Mors di Cesare.
"Barbaro, attento a come parli. L’arma di Cesare è al servizio di Roma non dei-"
"Accetto" disse Cesare senza esitare.
Tito Labieno, sorpreso, esclamò:
"Non sei costretta a farlo, Cesare! È solo un druido!"
Cesare, alzando la mano, zittì Labieno e poi, rivolgendosi a Diviziaco, disse:
"Io vi aiuterò ma ad una condizione: non userò la spada. Questa spada, la cui fama risale ai tempi di Romolo, non sarà usata da me. Io non uso armi divine per vincere, io uso la mia intelligenza e la mia forza."
Diviziaco accettò le condizioni di Cesare. Non aveva altra scelta. Da quel momento, Cesare, iniziò a mandare ambasciatori ad Ariovisto con lo scopo di raggiungere una tregua e allo stesso tempo di proteggere gli Edui; ma Ariovisto non voleva sentire ragioni, egli desiderava ottenere più potere, e alla fine i due decisero di incontrarsi faccia a faccia.
In una zona neutrale, davanti agli occhi di tutti i soldati, Cesare e Ariovisto giunsero a cavallo scortati dalle loro guardie. Entrambi scesero dai loro destrieri per guardarsi dritto negli occhi. Ariovisto vedendo Cesare la derise subito:
"Una donna? Questo è ciò che mi manda Roma? Una donna? La tua scrittura mi sembrava femminile ma non pensavo di aver a che fare con una vera donna che comanda eserciti. Le nostre donne non comandano, i nostri uomini sono gli unici a detenere il potere, IO detengo il potere. Io sono Ariovisto, re dei Germani, dei Sequani e degli Arverni, ben presto sarò il sovrano degli Edui ed un giorno anche del resto della Gallia. Pretendo di essere rispettato come sovrano non di essere insultato da voi Romani. Mandarmi una donna è come prendermi in giro. Esigo un vero guerriero." Si voltò e indicando Labieno disse: "Esigo uno come lui! Il suo sguardo è come quello di un predatore, lui sì che è degno di essere ucciso da me!"
Cesare, stizzita dalla sfrontatezza del re, rispose:
"Io sono una donna, è vero, ma non lasciarti ingannare dal mio aspetto. Diviziaco, il druido più potente degli Edui, è giunto a chiedere il mio aiuto per combattere contro il tuo esercito. Quello che intendo fare è proteggere il suo popolo con l’aiuto delle mie legioni. Labieno? È un bravo guerriero, ma non è di lui che ti devi preoccupare. Sono io il tuo nemico."
"Roma aiuta gli Edui? L’ultima volta che il mio popolo li attaccò il Senato di Roma ignorò le richieste degli Edui. Voi vi fingete loro alleati ma li avete già abbandonati una volta, non siete i loro protettori e non siete diversi da noi, anche voi volete conquistarli, è solo che state aspettando l’occasione giusta per farlo. Io lo so. Ma non sono pavido come voi Romani. Io agisco, non aspetto. Quindi ritorna dal tuo Senato e dì a quei vecchi che io, Ariovisto, non ho intenzione di ritirarmi per paura della vostra ‘amicizia’ con gli Edui."
"Accusi la mia gente di essere egoista eppure il tuo popolo è più egoista del mio. Voi sottomettete, non portate civiltà. Dovunque andate c’è solo distruzione e fame. Voi siete solo Barbari."
"Attenta a come parli, Romana. Disprezzi la mia gente, disprezzi la mia cultura, ma non sarò così sciocco da affrontare Roma. Voi avete già sconfitto i Germani in passato, lo so, quindi non cercherò di sfidarvi ma se vuoi possiamo trovare un accordo che benefici entrambi. Romani e Germani condividono le stesse ambizioni, dopotutto."
"Che cosa proponi?"
"Spartiamoci i territori degli Edui. I Germani e i Romani possono essere alleati e sottomettere l’intera Gallia insieme."
Cesare lanciò uno sguardo a Tito Labieno, egli era alle sue spalle e dalla sua espressione si capiva che non aveva intenzione di fare un accordo con il re dei Germani. La ragazza guardò il re e con un ghigno asserì:
"Ho un’idea migliore …" Cesare voltò le spalle ad Ariovisto.
Il re Germanico, confuso, domandò:
"Quale sarebbe questa idea?"
Lei si girò mostrando quel suo sguardo vorace e maligno:
"Arma tutti i tuoi soldati, Ariovisto, giacché io vi massacrerò."
Era qualcosa che non era mai accaduto prima. Roma non attaccava un popolo senza un casus belli, una ragione per la guerra,  ma Cesare non aveva bisogno di una cosa simile. Era chiaro che lei non era interessata a proteggere gli Edui, lei cercava solo una scusa per iniziare la sua marcia in Gallia e con il re dei Germani l’aveva appena trovata.
In Alsazia, Cesare, schierò trentamila legionari e affrontò l’immenso esercito di Ariovisto che contava centoventimila soldati. La battaglia fu terribile ma Cesare, grazie alle sue tattiche innovative, riuscì a sconfiggere l’esercito di Ariovisto in poche mosse. I nemici persero ottantamila soldati e si ritirarono, i Romani persero solo seimila uomini.
Ariovisto fuggì per non farsi uccidere ma Cesare decise di non seguirlo, per lei non ne valeva la pena.
Camminando fra i cadaveri dei suoi nemici guardava i volti di quei Germani morti, erano stati uomini eccellenti, valorosi, ottimi avversari ma non provava tristezza davanti a quella distesa di corpi esanimi.
Tito Labieno, che era insieme a Cesare, domandò, incuriosito:
"Tu sei aristocratica, perché sei qui? Gli aristocratici Romani non amano combattere insieme alla legione, detestano mangiare assieme a noi e vivere come viviamo noi. Perché tu non hai questi problemi? Perché hai abbandonato la vita di lusso per stare qui con noi legionari?"
"Perché ho bisogno di voi. Ho bisogno della vostra forza per essere qualcuno di veramente importante. A Roma ciò che conta è il potere e io creerò il mio potere personale."
"Come?"
"Mi sento come se stessi portando un enorme fardello sulle spalle. Mi sento padrona del mio destino e ho bisogno di qualcuno di fedele che non mi tradirà mai: il popolo è corruttibile e gli aristocratici sono accecati dai soldi e dal lusso. L’esercito è la mia unica speranza per cambiare lo stato delle cose."
"Capisco … quindi questa guerra è il mezzo per ottenere quel preciso fine, giusto?"
"Esattamente. Non mi fermerò dinnanzi a nulla pur di ottenere ciò che voglio."