martedì 19 gennaio 2021

[ITA] Capitolo 3 : Pirati e complotti

La morte del dittatore Lucio Cornelio Silla non implicò la fine della fazione sillana, quindi scoppiarono diverse lotte a Roma fra cui un tentativo di ribellione da parte di Marco Emilio Lepido per eliminare i sillani dal Senato e da Roma. Lepido era a conoscenza dell’esperienza di Cesare e chiese il suo aiuto, ma quest’ultima si rifiutò di prendere parte ad una lotta che l’avrebbe messa contro la legge in vigore. Pompeo fermò la ribellione senza nessun problema e nel frattempo, Cesare, si dedicò a malincuore alla politica e, ovviamente, si schierò dalla parte del popolo per affrontare l’aristocrazia.
Inizialmente quasi tutti erano scossi nel vedere una donna prendere parte alla politica Romana, ma come poteva un senatore mettere in discussione una persona che aveva ottenuto la corona di quercia? E non si può dimenticare che la bellezza di Cesare era tale da assuefare qualsiasi uomo e quindi riuscì facilmente ad entrare in politica; questo inaspettato debutto di Cesare fece innervosire persone come Marco Tullio Cicerone, famoso filosofo e avvocato, che vedeva nella ragazza una persona troppo arrogante e sicura di sé per occuparsi degli affari stato insieme ai grandi uomini del Senato.
Nonostante le critiche, la giovane donna dimostrò di essere molto intelligente e bravissima in oratoria e sostenne l’accusa di due ottimati sillani: Dolabella e Ibrida. Entrambi gli accusati si erano macchiati di crimini gravissimi come estorsione e concussione ma entrambi vennero assolti e Cesare non riuscì a sopportare la sconfitta, nonostante avesse pronunciato uno dei suoi discorsi più belli che persino lo stesso Cicerone dovette elogiare.

74 a.C.

Cesare decise di prendersi una pausa dalla vita politica, la sconfitta subita l’aveva demoralizzata, e così si diresse a Rodi per proseguire i suoi studi di filosofia greca; tuttavia durante il viaggio la sua nave venne attaccata da dei pirati che la portarono sull’isola di Farmacussa, dove volevano tenerla come prigioniera e chiedere un riscatto di venti talenti ma Cesare convinse loro che per lei Roma ne avrebbe pagati persino cinquanta e mandò i suoi compagni a Mileto per ottenere il denaro per il riscatto.
Aspettando il ritorno dei suoi uomini, Cesare si mise da parte a scrivere poesie e anche brevi racconti. Un carceriere giunse e strappò il foglio dalle mani della ragazza, lo lesse e commentò:
"Sei una specie di poetessa?"
"Ti piace?"
"Scrivi bene." L’uomo passò il pezzo di carta a Cesare, poi  si sedette vicino a lei e le domandò: "Spiegami come mai Roma dovrebbe pagare tanto per una come te. Chi sei tu?"
"Prova a indovinare. Cosa ti sembro? "
"Sei una bella donna ma hai degli occhi strani e anche i tuoi capelli sono bizzarri … potresti essere una strega ma anche una principessa. Chi sei, quindi? Strega o principessa?"
"Entrambe."
Giunse il capo dei pirati che, avendo sentito la risposta di Cesare, commentò:
"Se tu sei una principessa io sono Ulisse."
"Forse sei davvero Ulisse" aggiunse scherzosamente Cesare.
"Vedi? Non sei una principessa. Sei troppo sfacciata, troppo sicura di te. I tuoi piedi sono scalzi e a te non interessa, i tuoi vestiti sono sporchi e tu non ti lamenti, sei circondata da uomini che potrebbero farti del male e tu non hai paura e non tremi. Non sei una principessa, ma non sei neanche una strega."
"Quindi cosa sarò mai?"
"Una criminale, forse? Una soldatessa? Sei un Amazzone? Non ne ho mai vista una in carne ed ossa."
"Vuoi sapere cosa sono?" domandò lei con un ghigno.
"Sarei davvero curioso di scoprirlo."
"Sono una fanciulla affamata."
"Cosa?"
"Ho fame, idiota, portami da mangiare."
Il capo dei pirati rimase a bocca aperta, i suoi occhi erano spalancati e increduli.
"Cosa fai lì imbambolato? Portami. Da . Mangiare."
"Ma … tu … sai che io sono pirata? Potrei farti del male, maledetta puttana-"
"Esatto, sei un pirata. Sai navigare, ma sai anche pescare? Pescami del pesce e preparalo, ho fame."
"No … fallo tu!"
"Sono in catene, idiota. E poi vuoi davvero farmi credere che tu, un pirata, non sai procurarti del cibo in mare? Sei davvero patetico."
"Vuoi scommettere? Va bene, cagna, scommettiamo! Io pescherò un ottimo pesce e te lo cucinerò anche! Sarà buonissimo! Vedrai!" Esclamò lui andandosene.
"Ricordati di non bruciarlo!"
"Sarà il miglior pesce che tu abbia mai mangiato!"
"Sarà meglio …" Cesare si voltò, c’era ancora un altro pirata seduto vicino a lei, egli era visibilmente scosso da come la ragazza era riuscita a mettere in riga il capo della ciurma. "Cosa stai guardando?"
"Niente, niente. Non voglio problemi."
"Bene."
In quel momento giunse un uomo canuto con una lunga barba e con un kopis alla cintura. Il pirata, vedendo quel tizio entrare si alzò immediatamente ed esclamò:
"Aristide, vecchio bastardo, che cosa ci fai qui?"
"Mi ha mandato il capitano. Ora sparisci, Mitro, e lascia quella ragazza in pace."
"Non le ho fatto niente, brutto vecchio di-"
La mano di Cesare iniziò a tremare ma lei la fermò immediatamente. Il pirata sorrise e commentò:
"Che succede, ragazza? Ora hai paura? "
Si mise a ridere ma Cesare, in quell’istante,  iniziò a sbattere la testa contro il muro, le sue gambe si strinsero, era come se stesse cercando di trattenere qualcosa, l’uomo pensava che lei stesse impazzendo; ecco che iniziò una crisi epilettica: Cesare cominciò a contorcersi e a dimenarsi, spasmi continui ed occhi al cielo, la testa non si fermava ed il pirata si allontanò da lei estraendo la spada.
"Fermo, idiota! Se la uccidi le divinità ci tormenteranno in eterno!" intervenne Aristide.
"Che stai blaterando? Non vedi? Ha il morbo! Non voglio finire come lei! Io conosco le leggende che vengono tramandate, so che toccare quelle come lei è come accettare la malattia!"
"Vattene, stolto! Ci penso io a lei!"
"Come vuoi, ma se accade qualcosa di tremendo ti mozzerò quella lingua, vecchio."
La crisi epilettica di Cesare cessò, la ragazza rimase tramortita e confusa, vide avvicinarsi quell’uomo anziano in armatura; egli si mise in ginocchio e le domandò, grattandosi la folta barba bianca:
"Quali divinità?"
"Cosa?"
"Quali divinità ti hanno benedetto? Quelle Romane, quelle Greche o quelle Egiziane?"
"Fa differenza?"
"Molta. Se tu non tornerai al luogo da cui vieni e non riceverai l’aiuto dei sacerdoti, sarai fragile, sarai sempre più debole e il morbo sacro ti ucciderà."
"Non ho mai sentito nulla del genere."
"Credi che la sedentarietà di quelli con il morbo sia una coincidenza? Ma tu non sei una sacerdotessa. Hai l’aspetto di una nobildonna. Chi sei tu?"
"Gaio Giulio Cesare."
"Oh." esclamò Aristide sorpreso.
"Non ti piace?"
"Scusami, è solo che … è insolito incontrare una donna con un nome da uomo." rispose sedendosi vicino a Cesare. "Dove eri diretta?"
"Rodi. Volevo continuare i miei studi di filosofia."
"Quale scuola segui?"
"Epicurea." rispose lei sorridendo orgogliosamente.
"Io sono … io ero, uno stoico. Un insegnante."
"E come ci sei finito qui?"
"Ero un prigioniero come te. I pirati notarono che ero molto bravo a combattere, per via della mia esperienza militare, e così mi tennero con loro come addestratore. Ma non parliamo di me, la mia è una storia triste. Tu hai detto di essere epicurea, giusto? Quindi vuol dire che …"
"Sì, non credo alle superstizioni e al fatto che le divinità possano influenzare in qualche modo le nostre vite. Ecco perché io non sono sedentaria e non credo a questo ‘morbo sacro’; è solo una leggenda."
"Cosa credi che sia?"
"Una disfunzione del mio corpo, niente di più. Forse sono destinata a morire giovane."
"E quindi non credi di essere protetta dalle divinità?"
"Conosco le radici della mia famiglia, non sono priva di un credo religioso, ma non credo che Venere o Marte vogliano in qualche modo aiutarmi. Loro mi ignorano e io ignoro loro. Questo è tutto."
"Mi rattrista saperlo."
"Non essere triste per me, vecchio. Finora la mia vita non è stata altro che un insieme di sventure. Le divinità non mi hanno mai aiutata in nessun modo ed io non ho mai chiesto il loro aiuto."
"Cos’è successo?"
Cesare si voltò. Lo sguardo dell’uomo era comprensivo e anche incuriosito allo stesso tempo.
"Ho passato molto tempo lontana dalla mia casa a causa di un folle dittatore; ho cercato di farmi un nome in politica e di combattere per i miei ideali ma ho fallito; ora sono prigioniera di pirati solo perché sono stata così idiota da volermi dedicare alla filosofia. Dove sono le divinità in tutto questo? Mia madre crede che io sia destinata a qualcosa di grande … ma non esiste il destino. Ci sono siamo solo io e queste sventure."
"Le sventure fanno parte del destino. Ognuno di noi deve sbagliare perché è giusto così. Sbagliare è sano, imparare dagli errori lo è ancora di più."
Lei sorrise, appagata da quella lezione, e disse:
"Anche tu hai commesso un errore, schierandoti con questi pirati. Ma ti risparmierò."
"Che cosa vuoi dire?"
"Io ucciderò tutti questi pirati che hanno osato rapirmi, ma risparmierò te. Gioisci, hai ottenuto un briciolo del mio rispetto, e piangi perché ammazzerò tutti i tuoi compagni dal primo all’ultimo. Ma non darò loro una morte veloce …"
Lo sguardo di Cesare era freddo e determinato, Aristide rimase scioccato dalla forza che impregnava quelle parole. La ragazza rimase sull’isola insieme ai pirati per trentotto giorni, finalmente giunse il riscatto e Cesare venne restituita illesa ai suoi compatrioti. La ragazza ordinò di condurre la nave fino alla provincia d’Asia dove si preparò per attaccare i pirati. A Mileto organizzò una piccola armata e la condusse in mare alla ricerca dei predoni, quando li trovò la battaglia fu brevissima e Cesare riuscì a trionfare con immensa facilità; ordinò di lasciar fuggire Aristide e fece strangolare e poi crocifiggere tutti gli altri.
Cesare decise di rimanere in Asia per partecipare alla guerra contro Mitridate IV del Ponto dove dimostrò nuovamente di possedere delle capacità tattiche superiori alla media, imbracciò le armi insieme ai suoi ausiliari e combatté contro i nemici senza temere la morte, questo atteggiamento guerriero venne notato dai suoi commilitoni. Con la fine della guerra, Cesare, decise di tornare a Roma e venne eletta tribunus militum (tribuno militare), con quel nuovo potere decise di continuare a combattere per il popolo e approvò la Lex Plotia, che permise il ritorno in patria dei Romani che erano stati esiliati durante l’insurrezione di Marco Emilio Lepido e inoltre approvò  il ripristino dei poteri dei tribuni della plebe che durante la dittatura di Silla erano stati “ridimensionati”.
In quel periodo, tuttavia, iniziò ad avvicinarsi all’uomo più ricco di Roma: Marco Licinio Crasso. Egli aveva visto in Cesare una figura di grande importanza e voleva sfruttarla per aumentare la propria popolarità.
"Sappiamo entrambi cosa vuoi ottenere in realtà," disse Cesare a Crasso, mentre stavano cenando nella villa di quest’ultimo "mi hai invitata qui perché sai che il popolo mi approva e vuoi il mio aiuto."
"Beh, sapevo che prima o poi ci saresti arrivata." rispose Crasso, mentre si stava gustando della carne al sangue.
"Ma perché? Tu lo sai che l’aristocrazia non mi approva e che il Senato mi vede come una minaccia."
"Perché sei una donna, lo so."
"E quindi sai che ti farai un sacco di nemici."
"Non mi interessa."
"Perché?"
"Tu non sei solo una donna, sei qualcosa di più, lo so, l’ho visto con i miei occhi. Persino quell’idiota di Pompeo percepisce in te qualcosa di speciale, ma io, al contrario suo, posso darti ciò di cui hai bisogno: soldi. Tu non farai mai strada appoggiandoti soltanto alle belle idee, hai bisogno di soldi, hai bisogno di un tipo di potere che ti permetta di vincere ogni battaglia in politica. Hai bisogno di me."
"E in cambio vuoi che io conduca il popolo dalla tua parte, vero?"
"Acuta" disse lui sorseggiando del vino.
"Crasso," con le mani spostò la scodella in avanti "non ho intenzione di cenare con un uomo che vuole costringermi ad abbandonare il popolo. Tu ti ritieni superiore all’aristocrazia ma io so che non sei diverso da quei nullafacenti pidocchiosi che siedono in Senato."
"E se noi eliminassimo quelle differenze? Le differenze fra popolo e aristocrazia?"
"Come?"
"Tu in che cosa credi, Cesare?" domandò Crasso, incuriosito.
"Ho gli stessi ideali di mio zio-"
"Credi nella Repubblica? Credi nel potere del Senato? Credi nel potere di tutta questa gente senza ambizione e senza lungimiranza?"
"Mi stai chiedendo di renderti il prossimo Silla?"
"No, ti sto chiedendo di aiutarmi a cambiare il mondo. Tu ed io, insieme, possiamo cambiare le carte in tavola, come un re e una regina. Il tuo carisma e i miei soldi, insieme, saranno un’arma che il Senato non potrà mai contrastare."
"‘Re e regina’? E poi cosa farai? Mi chiederai di sposarti?"
"No, niente di così banale, ma ti sto chiedendo di accompagnarmi in questo periodo di guerre interne e di rendermi potente. Accetti?"