L’esperienza della congiura di Catilina aiutò Cesare a comprendere che il vero ostacolo per il raggiungimento dei suoi sogni non erano gli aristocratici ma Catone, uno stoico fedele alle tradizioni romane; egli era abbastanza abile da saper muovere le opinioni del Senato in suo favore ma era anche abbastanza paranoico da non fidarsi mai degli stessi senatori. Per riuscire a sconfiggere un simile avversario, Cesare doveva essere più astuta di lui.
La giovane donna ripudiò Pompeia dopo che aveva scoperto che lei la tradiva per Clodio, il quale nel frattempo si stava facendo un nome in politica. Dopo le sue campagne in Spagna contro i Lusitani, la ragazza tornò a Roma trionfante e decise di mettere in atto uno stratagemma grandioso per riuscire ad ottenere il potere necessario per cambiare Roma.
60 a.C.
Crasso e Pompeo erano due uomini completamente diversi: uno era un ricco uomo d’affari mentre l’altro era un militare. Entrambi erano ambiziosi allo stesso modo ma non andavano d’accordo, tuttavia Cesare aveva intuito che tutti e due volevano usare lei per riuscire a raggiungere il potere e così decise di convocare entrambi gli uomini a casa sua per firmare un accordo con loro. Se lei era ciò che tutti e due volevano, lei sarebbe stata la causa della loro alleanza.
"Cesare, mi stai chiedendo davvero troppo" disse Pompeo.
"Lo stesso vale per me. Non ho nessuna intenzione di fare accordi con quel bugiardo ladro di glorie" asserì Crasso indignato.
Tutti e tre erano a tavola, illuminati dalle torce, le cui luci tagliavano l’oscurità della notte. Pompeo era davanti a Crasso e Cesare era fra i due.
"Io non ho rubato niente" borbottò Pompeo.
"Tu sei stato celebrato per aver sconfitto Spartaco ma sappiamo entrambi che il merito di quell’agonizzata vittoria è stato mio. Ma tu, come un ladro, ti sei preso il merito di tutte le operazioni mentre il mio impegno è stato completamente dimenticato" spiegò Crasso.
"Dunque? Ho fatto io tutto il lavoro. Io sono un soldato, un generale, io combatto le guerre, tu al massimo ci metti un po’ di soldi e guardi tutto da lontano come un maledetto spettatore nell’arena."
"Sei un figlio di un cane! Maledetto selvaggio arrogante! Se tu non fossi un cittadino di Roma ti avrei già fatto crocifiggere per un simile insulto!"
"Ah! Crasso che muove il sedere, questa sì che sarebbe una novità!"
"Disgraziato!"
"Bravo, Crasso, prendi a pugni il tavolo, è il massimo che sai fare, stupido maiale!"
"Questo è troppo!"
Crasso e Pompeo erano sul punto di fare a pugni ma Cesare, sbattendo le mani sul tavolo, catturò la loro attenzione ed esclamò:
"Siete due bambini! Non capite quello che possiamo fare se noi tre uniamo le forze? Catone è un peso che nessuno di noi, da solo, può gestire. Praticamente tutto il Senato appoggia quell’uomo, ma insieme possiamo fare quello che vogliamo. Lasciate perdere le dispute del passato, pensate al futuro, pensate a quello che possiamo ottenere se ci coalizziamo, ognuno potrà soddisfare le proprie ambizioni e insieme cambieremo per sempre Roma togliendola dalle mani di quegli incompetenti che stanno al potere."
"Come vuoi fare?" domandò Pompeo, intrigato.
"Pompeo, i tuoi veterani potrebbero ribellarsi da un momento all’altro perché a loro mancano le terre che avevi promesso, ci penserò io a distribuire quelle terre, avranno tutto ciò che hanno chiesto e in più, con i soldi di Crasso, corromperò un paio di senatori in modo che possano darti più potere ad Oriente."
"E io cosa ottengo?" domandò poi Crasso, perplesso.
"So che hai un problema con gli appalti nella provincia d’Asia, posso fare in modo che il loro prezzo venga ridotto e in più farò in modo di facilitare il tuo giro di denaro con qualche mio contatto; così avrai più soldi in tasca, mio caro amico."
"E come pensi di mantenere queste promesse?" chiese, quindi, Pompeo.
"Con il consolato."
Quella risposta gelò tutti e due gli uomini.
"Tu vuoi … diventare console? Nessuna donna ha mai ottenuto un simile potere."
"Possiamo farlo. Con il potere del denaro e dell’esercito tutto è possibile, anche per una donna."
"Ma-"
La giovane donna ripudiò Pompeia dopo che aveva scoperto che lei la tradiva per Clodio, il quale nel frattempo si stava facendo un nome in politica. Dopo le sue campagne in Spagna contro i Lusitani, la ragazza tornò a Roma trionfante e decise di mettere in atto uno stratagemma grandioso per riuscire ad ottenere il potere necessario per cambiare Roma.
60 a.C.
Crasso e Pompeo erano due uomini completamente diversi: uno era un ricco uomo d’affari mentre l’altro era un militare. Entrambi erano ambiziosi allo stesso modo ma non andavano d’accordo, tuttavia Cesare aveva intuito che tutti e due volevano usare lei per riuscire a raggiungere il potere e così decise di convocare entrambi gli uomini a casa sua per firmare un accordo con loro. Se lei era ciò che tutti e due volevano, lei sarebbe stata la causa della loro alleanza.
"Cesare, mi stai chiedendo davvero troppo" disse Pompeo.
"Lo stesso vale per me. Non ho nessuna intenzione di fare accordi con quel bugiardo ladro di glorie" asserì Crasso indignato.
Tutti e tre erano a tavola, illuminati dalle torce, le cui luci tagliavano l’oscurità della notte. Pompeo era davanti a Crasso e Cesare era fra i due.
"Io non ho rubato niente" borbottò Pompeo.
"Tu sei stato celebrato per aver sconfitto Spartaco ma sappiamo entrambi che il merito di quell’agonizzata vittoria è stato mio. Ma tu, come un ladro, ti sei preso il merito di tutte le operazioni mentre il mio impegno è stato completamente dimenticato" spiegò Crasso.
"Dunque? Ho fatto io tutto il lavoro. Io sono un soldato, un generale, io combatto le guerre, tu al massimo ci metti un po’ di soldi e guardi tutto da lontano come un maledetto spettatore nell’arena."
"Sei un figlio di un cane! Maledetto selvaggio arrogante! Se tu non fossi un cittadino di Roma ti avrei già fatto crocifiggere per un simile insulto!"
"Ah! Crasso che muove il sedere, questa sì che sarebbe una novità!"
"Disgraziato!"
"Bravo, Crasso, prendi a pugni il tavolo, è il massimo che sai fare, stupido maiale!"
"Questo è troppo!"
Crasso e Pompeo erano sul punto di fare a pugni ma Cesare, sbattendo le mani sul tavolo, catturò la loro attenzione ed esclamò:
"Siete due bambini! Non capite quello che possiamo fare se noi tre uniamo le forze? Catone è un peso che nessuno di noi, da solo, può gestire. Praticamente tutto il Senato appoggia quell’uomo, ma insieme possiamo fare quello che vogliamo. Lasciate perdere le dispute del passato, pensate al futuro, pensate a quello che possiamo ottenere se ci coalizziamo, ognuno potrà soddisfare le proprie ambizioni e insieme cambieremo per sempre Roma togliendola dalle mani di quegli incompetenti che stanno al potere."
"Come vuoi fare?" domandò Pompeo, intrigato.
"Pompeo, i tuoi veterani potrebbero ribellarsi da un momento all’altro perché a loro mancano le terre che avevi promesso, ci penserò io a distribuire quelle terre, avranno tutto ciò che hanno chiesto e in più, con i soldi di Crasso, corromperò un paio di senatori in modo che possano darti più potere ad Oriente."
"E io cosa ottengo?" domandò poi Crasso, perplesso.
"So che hai un problema con gli appalti nella provincia d’Asia, posso fare in modo che il loro prezzo venga ridotto e in più farò in modo di facilitare il tuo giro di denaro con qualche mio contatto; così avrai più soldi in tasca, mio caro amico."
"E come pensi di mantenere queste promesse?" chiese, quindi, Pompeo.
"Con il consolato."
Quella risposta gelò tutti e due gli uomini.
"Tu vuoi … diventare console? Nessuna donna ha mai ottenuto un simile potere."
"Possiamo farlo. Con il potere del denaro e dell’esercito tutto è possibile, anche per una donna."
"Ma-"
"Schiettamente: voi volete potere? Io vi darò potere. Pompeo, tu dovrai sostenere la mia candidatura a console, mentre tu, Crasso, dovrai finanziarla. Non mi interessa quante persone dovranno essere corrotte, non mi interessa quante regole dovremmo infrangere, aiutatemi a realizzare questo obbiettivo e in cambio vi darò tutto ciò che ho promesso."
I due rimasero in silenzio per un istante. Pompeo guardò Crasso, quest’ultimo restituì l’occhiata e poi, entrambi, fissarono Cesare. La ragazza non era preoccupata, non stava sudando e non dava segni d’ansia. Entrambi sorrisero.
"Così sia" disse Pompeo porgendo la mano a Crasso.
"Va bene, accetto" Crasso strinse la mano.
"Signori," Cesare si alzò e appoggiò la sua mano su quelle dei due uomini "stiamo scrivendo la storia. Da questo momento in poi il destino di Roma è nelle nostre mani."
I due rimasero in silenzio per un istante. Pompeo guardò Crasso, quest’ultimo restituì l’occhiata e poi, entrambi, fissarono Cesare. La ragazza non era preoccupata, non stava sudando e non dava segni d’ansia. Entrambi sorrisero.
"Così sia" disse Pompeo porgendo la mano a Crasso.
"Va bene, accetto" Crasso strinse la mano.
"Signori," Cesare si alzò e appoggiò la sua mano su quelle dei due uomini "stiamo scrivendo la storia. Da questo momento in poi il destino di Roma è nelle nostre mani."
Così nacque il primo triumvirato che mise insieme i tre politici più potenti e influenti di Roma. Cesare, grazie alla sua abilità nell’oratoria, era riuscita a fare l’impossibile e fece nascere un vero e proprio ‘mostro a tre teste’, come lo chiamò poi Catone.
L’anno successivo Cesare scioccò il mondo diventando per la prima volta console, e rispettò i patti con i suoi due alleati. Catone non smise di opporsi alla ragazza ma sfortunatamente c’era poco da fare contro una figura protetta sia da Crasso che da Pompeo; inoltre anche il popolo era innamorato di quella semidea dagli occhi rossi e dai capelli argentati.
Quell’anno Cesare si sposò con la bellissima Calpurnia la quale era trattata come una piccola regina. Il loro matrimonio, come tutti quelli di Cesare, non fu privo di critiche e di insulti da parte dell’aristocrazia Romana, ma come sempre la console di Roma ignorava le voci oppure rideva di coloro che la odiavano.
Una notte, dopo che le due ragazze avevano giaciuto insieme, Calpurnia domandò a Cesare:
"Tu sei una donna molto forte, amore mio, ma ogni giorno temo che tu possa morire per mano di coloro che sono invidiosi di te."
Cesare, dopo aver baciato il capo di Calpurnia, la rassicurò:
"Non ho paura della morte, ho paura di essere dimenticata. Devo fare tutto ciò che è in mio potere per riuscire a cambiare questa città e il destino di quella gente, che soffre inutilmente per colpa di politici inetti e di aristocratici pigri."
"E come?"
"Il popolo mi ama ma l’amore del popolo non basta. Hai visto Publio Clodio Pulcro? Clodio è un populista, mente alla gente, dice che eliminerà le tasse e dice che darà a tutti ogni cosa, ma sono discorsi senza senso. Non sono realistici, sono solo propaganda. Ha persino pagato dei mercenari per compiere atti di vandalismo."
"Anche tu fai molta propaganda, però" notò Calpurnia.
"Non è la stessa cosa" disse Cesare alzandosi dal letto. "Io non dichiaro ciò che posso fare, affermo ciò che farò. Sono due cose diverse. Ciò che dico, lo faccio. Non mento su queste faccende. Per me la politica è come la grammatica: le regole devono sempre essere seguite."
"Quindi cosa farai, Figlia di Venere?" domandò Calpurnia sollevandosi e abbracciando Cesare.
"Il popolo cambia idea facilmente. Segue solo il cuore ma non la ragione, oggi mi ama ma domani mi odierà, ho bisogno di un modo per ottenere il potere senza perdermi in incertezze. Ho bisogno di un esercito."
"Per fare cosa? Un esercito può solo conquistare terre straniere."
"Non è vero. Mi può permettere di creare la base per il mio potere. Tutti rispettano e temono chi fa la guerra. Sono una donna potente ma non sono abbastanza potente da sentirmi al sicuro … quindi ho bisogno di un potere sicuro, assoluto, che mi permetta di cambiare Roma per sempre."
"Vuoi diventare come Silla, Cesare?"
"No. Mai. Non emulerò mai quel vecchio cane che voleva essere re. Lui era incapace di comprendere il popolo e il modo in cui si controlla uno stato."
"E tu lo sai come si fa?"
"Le persone sono come gli animali: se tu fai male a loro, ti mordono. Il modo migliore per governare uno stato è imparare a non far soffrire nessuno. Nessuno deve essere oppresso, nessuno deve essere esiliato per le proprie opinioni politiche e nessuno deve cadere in schiavitù a causa dei debiti. Ma prima di tutto bisogna creare un sistema giusto ed equilibrato; qui c’è la parte complicata. Però, come prima cosa, devo ottenere il rispetto di Roma e l’amore incondizionato del popolo e dell’esercito."
"Dove combatterai, Cesare? Chi combatterai?"
"Ci devo pensare, amore mio, ma ho bisogno che sia un rivale degno di Roma. Un nemico pericoloso, altrimenti nessuno mi prenderà sul serio."
Calpurnia sorrise e fece sedere Cesare, si mise dietro di lei, e le disse:
"Allora dovrai prepararti per la guerra. Non puoi andare in giro con i capelli così lunghi."
"Non voglio tagliarli, mi piacciono lunghi."
L’anno successivo Cesare scioccò il mondo diventando per la prima volta console, e rispettò i patti con i suoi due alleati. Catone non smise di opporsi alla ragazza ma sfortunatamente c’era poco da fare contro una figura protetta sia da Crasso che da Pompeo; inoltre anche il popolo era innamorato di quella semidea dagli occhi rossi e dai capelli argentati.
Quell’anno Cesare si sposò con la bellissima Calpurnia la quale era trattata come una piccola regina. Il loro matrimonio, come tutti quelli di Cesare, non fu privo di critiche e di insulti da parte dell’aristocrazia Romana, ma come sempre la console di Roma ignorava le voci oppure rideva di coloro che la odiavano.
Una notte, dopo che le due ragazze avevano giaciuto insieme, Calpurnia domandò a Cesare:
"Tu sei una donna molto forte, amore mio, ma ogni giorno temo che tu possa morire per mano di coloro che sono invidiosi di te."
Cesare, dopo aver baciato il capo di Calpurnia, la rassicurò:
"Non ho paura della morte, ho paura di essere dimenticata. Devo fare tutto ciò che è in mio potere per riuscire a cambiare questa città e il destino di quella gente, che soffre inutilmente per colpa di politici inetti e di aristocratici pigri."
"E come?"
"Il popolo mi ama ma l’amore del popolo non basta. Hai visto Publio Clodio Pulcro? Clodio è un populista, mente alla gente, dice che eliminerà le tasse e dice che darà a tutti ogni cosa, ma sono discorsi senza senso. Non sono realistici, sono solo propaganda. Ha persino pagato dei mercenari per compiere atti di vandalismo."
"Anche tu fai molta propaganda, però" notò Calpurnia.
"Non è la stessa cosa" disse Cesare alzandosi dal letto. "Io non dichiaro ciò che posso fare, affermo ciò che farò. Sono due cose diverse. Ciò che dico, lo faccio. Non mento su queste faccende. Per me la politica è come la grammatica: le regole devono sempre essere seguite."
"Quindi cosa farai, Figlia di Venere?" domandò Calpurnia sollevandosi e abbracciando Cesare.
"Il popolo cambia idea facilmente. Segue solo il cuore ma non la ragione, oggi mi ama ma domani mi odierà, ho bisogno di un modo per ottenere il potere senza perdermi in incertezze. Ho bisogno di un esercito."
"Per fare cosa? Un esercito può solo conquistare terre straniere."
"Non è vero. Mi può permettere di creare la base per il mio potere. Tutti rispettano e temono chi fa la guerra. Sono una donna potente ma non sono abbastanza potente da sentirmi al sicuro … quindi ho bisogno di un potere sicuro, assoluto, che mi permetta di cambiare Roma per sempre."
"Vuoi diventare come Silla, Cesare?"
"No. Mai. Non emulerò mai quel vecchio cane che voleva essere re. Lui era incapace di comprendere il popolo e il modo in cui si controlla uno stato."
"E tu lo sai come si fa?"
"Le persone sono come gli animali: se tu fai male a loro, ti mordono. Il modo migliore per governare uno stato è imparare a non far soffrire nessuno. Nessuno deve essere oppresso, nessuno deve essere esiliato per le proprie opinioni politiche e nessuno deve cadere in schiavitù a causa dei debiti. Ma prima di tutto bisogna creare un sistema giusto ed equilibrato; qui c’è la parte complicata. Però, come prima cosa, devo ottenere il rispetto di Roma e l’amore incondizionato del popolo e dell’esercito."
"Dove combatterai, Cesare? Chi combatterai?"
"Ci devo pensare, amore mio, ma ho bisogno che sia un rivale degno di Roma. Un nemico pericoloso, altrimenti nessuno mi prenderà sul serio."
Calpurnia sorrise e fece sedere Cesare, si mise dietro di lei, e le disse:
"Allora dovrai prepararti per la guerra. Non puoi andare in giro con i capelli così lunghi."
"Non voglio tagliarli, mi piacciono lunghi."
"Non dovrai farlo. Devi mostrare il tuo volto perfetto, però; e allo stesso tempo devi far comprendere agli uomini che fai sul serio. Devi essere la reincarnazione di una dea della guerra."
"Lo sai che non credo a queste cose."
"Non importa. Non ci devi credere tu, sono loro che ci devono credere." Calpurnia aveva fatto una lunga treccia e aveva legato i capelli dietro la nuca. "Non è una semplice questione di guerra, ma anche di fede. Tu sei speciale, Cesare, e anche se tu non ci credi devi comunque fare in modo che gli altri ci credano solo così ti seguiranno fino alla fine del mondo. Sii razionale, ma non dimenticarti il cuore delle persone." Calpurnia prese un fiocco per legare i capelli. "Ecco fatto. Ora sì che sembri una divinità."
"Grazie, Calpurnia. Grazie per il tuo amore."
"Non mi ringraziare, devi solo tornare da me. Vinci gli stranieri e torna da me, amore mio."
Durante il consolato, Cesare, ottenne l’appoggio di Crasso e Pompeo per l’approvazione della Lex Vatinia con la quale divenne la proconsole delle province della Gallia Cisalpina e dell’Illirico e poi, in seguito, anche della provincia Narbonense. Il Senato, in realtà, sperava di allontanare Cesare da Roma con lo scopo di riavvicinarsi al popolo e di abbandonare la ragazza al nord. Cesare, però, non era di certo stupida e prima di partire si presentò al Senato per fare il suo annuncio:
"Io so che voi mi volete lontana da Roma, so che voi mi volete morta da molto tempo e so che siete così chiusi mentalmente da non riuscire a comprendere la mia grandezza. Lasciate, però, che vi dia un consiglio, miei cari colleghi: godetevi il vostro vino; godetevi il vostro denaro; godetevi le vostre ville e le vostre amanti ‘che non esistono’ … godetevi la vita finché potete perché quando io avrò conquistato la Gallia tornerò qui e potrò calpestare le vostre teste."
Un senatore si alzò in piedi ed esclamò con un tono sprezzante:
"Impresa difficile per una donna!"
Cesare sorrise e rispose:
"Io sono una donna, sì, ma anche le Amazzoni erano donne e hanno dominato l’Asia sconfiggendo i guerrieri più formidabili dell’antichità e la stessa Semiramide dominò la Siria. Io sarò come Semiramide, ma otterrò più gloria di lei e più di Alessandro Magno, il mio nome non sarà mai dimenticato e voi piangerete."
Dopo aver proferito quelle parole Cesare lasciò il Senato e partì per la Gallia.
"Lo sai che non credo a queste cose."
"Non importa. Non ci devi credere tu, sono loro che ci devono credere." Calpurnia aveva fatto una lunga treccia e aveva legato i capelli dietro la nuca. "Non è una semplice questione di guerra, ma anche di fede. Tu sei speciale, Cesare, e anche se tu non ci credi devi comunque fare in modo che gli altri ci credano solo così ti seguiranno fino alla fine del mondo. Sii razionale, ma non dimenticarti il cuore delle persone." Calpurnia prese un fiocco per legare i capelli. "Ecco fatto. Ora sì che sembri una divinità."
"Grazie, Calpurnia. Grazie per il tuo amore."
"Non mi ringraziare, devi solo tornare da me. Vinci gli stranieri e torna da me, amore mio."
Durante il consolato, Cesare, ottenne l’appoggio di Crasso e Pompeo per l’approvazione della Lex Vatinia con la quale divenne la proconsole delle province della Gallia Cisalpina e dell’Illirico e poi, in seguito, anche della provincia Narbonense. Il Senato, in realtà, sperava di allontanare Cesare da Roma con lo scopo di riavvicinarsi al popolo e di abbandonare la ragazza al nord. Cesare, però, non era di certo stupida e prima di partire si presentò al Senato per fare il suo annuncio:
"Io so che voi mi volete lontana da Roma, so che voi mi volete morta da molto tempo e so che siete così chiusi mentalmente da non riuscire a comprendere la mia grandezza. Lasciate, però, che vi dia un consiglio, miei cari colleghi: godetevi il vostro vino; godetevi il vostro denaro; godetevi le vostre ville e le vostre amanti ‘che non esistono’ … godetevi la vita finché potete perché quando io avrò conquistato la Gallia tornerò qui e potrò calpestare le vostre teste."
Un senatore si alzò in piedi ed esclamò con un tono sprezzante:
"Impresa difficile per una donna!"
Cesare sorrise e rispose:
"Io sono una donna, sì, ma anche le Amazzoni erano donne e hanno dominato l’Asia sconfiggendo i guerrieri più formidabili dell’antichità e la stessa Semiramide dominò la Siria. Io sarò come Semiramide, ma otterrò più gloria di lei e più di Alessandro Magno, il mio nome non sarà mai dimenticato e voi piangerete."
Dopo aver proferito quelle parole Cesare lasciò il Senato e partì per la Gallia.