Monday, January 18, 2021

[ITA] Capitolo 2 : La fuga di Cesare

Cesare era una ragazza curiosa e intelligente come poche; si era interessata di astronomia, di scienza e di filosofia; venne educata da un filosofo e grammatico della Gallia di nome Marco Antonio Gnifone. La ragazza crebbe in un periodo dove gli Optimates, coloro che favorivano l’aristocrazia, e i Populares, coloro che erano dalla parte del popolo, si scontravano continuamente in diverse lotte sociali. Lei non amava la politica, anzi, preferiva le arti intellettuali e per questo passava molto tempo con il suo maestro a discutere delle idee di Platone e di Aristotele.
La famiglia di Cesare aveva molti debiti e il padre voleva che lei sposasse il fratello di Cossuzia, che aveva quattro anni più di lei ed era anche molto ricco e influente, ma egli era all’oscuro del fatto che la figlia avesse già degli interessi romantici rivolti alla stessa Cossuzia. Le istituzioni Romane non avrebbero mai concesso un matrimonio omosessuale ma ciononostante Cesare voleva stare assieme a lei.
Lo zio di Cesare, Gaio Mario, morì nell’86 a. C. e la famiglia ottenne molto denaro in eredità, l’anno seguente morì però il padre di lei; la ragazza aveva solo quindici anni ed era anche promessa ad un uomo che non amava, così decise di rinnegare sia lui che Cossuzia e grazie alle ingenti somme di denaro trovò il modo di avere un matrimonio con un’ altra ragazza: Cornelia. L’atto di questa donna scandalizzò i conservatori ma poco potevano fare contro una famiglia molto antica, rispettata e adesso anche ricca. Cesare, in quel periodo, aveva diciotto anni e Cornelia ne aveva cinque in meno. La loro relazione fu molto più romantica che sessuale e questo per due ragioni: Cesare sposò Cornelia per vivere con lei; la stessa Cesare non amava avere rapporti carnali con persone più giovani, andando anche in questo caso contro alcune  delle usanze Romane.
Tuttavia non mancarono i tentativi, da parte dell’aristocrazia, di diffamare la ragazza e di farla sembrare una pervertita agli occhi del pubblico.

82 a. C.

Lucio Cornelio Silla, di ritorno dalla sua battaglia contro Mitridate VI, tornò in Italia, e dopo aver sconfitto i Populares seguaci del defunto Gaio Mario si proclamò dittatore perpetuo e si impegnò ad eliminare i suoi avversari politici con la scusa di voler restaurare la repubblica; ma tutti sapevano che in realtà non era così.
Cesare non appoggiava la dittatura di Silla, la considerava pericolosa per il popolo Romano e per questo, insieme a Cornelia, diede asilo a quelle personalità politiche che erano perseguitate dal dittatore. Un simile affronto non venne accettato da Silla, così Cesare venne catturata e condotta dal tiranno in catene.
L’uomo, ormai anziano, si stava gustando del vino in una coppa d’oro, egli era seduto sul suo trono ed era protetto da ben dieci guardie e dal suo luogotenente Pompeo; entrò Cesare, spinta ai piedi del trono da due legionari. Silla, vedendo quella ragazza, rimase scioccato e domandò:
"Chi è questa donna? Avevo chiesto Gaio Giulio Cesare, non sua sorella, razza di idioti."
"Io sono Gaio Giulio Cesare" disse la ragazza, alzandosi in piedi.
"Non prendermi in giro, donna. Tu non puoi essere-"
"Lo è." Confermò Pompeo e aggiunse, con un gesto di mano rivolto alla ragazza: "Lei è Gaio Giulio Cesare, figlia di Aurelia Cotta e di Gaio Giulio Cesare il Vecchio, nonché nipote di Gaio Mario. Non sta mentendo."
"Seriamente?! Una donna? È stata una donna a protestare contro di me? Una semplice donna con i capelli da vecchia? Roma sta davvero toccando il fondo se viene concesso alle donne di esprimere opinioni politiche. Cosa ne può sapere lei, poi?"
"In realtà so che gestisce gli affari di famiglia, so anche che è riuscita a saldare i debiti che aveva suo padre. A quanto pare si è pure fatta un nome fra alcuni intellettuali Romani "spiegò Pompeo.
"Una donna con un nome da uomo che fa cose da uomini … e quindi sei tu quella che è sposata con un’altra donna, una mia parente come se non bastasse" commentò Silla con un’espressione disgustata.
"C’è stato un giro di soldi per permettere un simile matrimonio, ovviamente, ma hanno chiuso un occhio anche per via delle leggende che si narrano su di lei-"
Silla alzò la mano per interrompere Pompeo, si girò verso Cesare, appoggiò la coppa dorata e si mise comodo sul trono, poi, con un sorriso beffardo, domandò:
"Quali leggende si raccontano su di te, Donna con il Nome da Uomo?"
"Io appartengo alla gens Iulia, la mia famiglia vanta di avere come antenato Romolo in persona, Enea e anche la dea Venere e di me si dice che sono destinata a-"
"Bla, bla, bla … sì, ho capito, sei una che crede di essere destinata  a grandi cose, a grandi successi nella vita ... chi ti ha illuso fino a farti credere queste scemenze  è uno sciocco. Non sei destinata a nulla, al massimo ti potresti offrire a qualche legionario e farlo divertire un po’, ma usare quella bocca per opporti alle mie scelte è roba che non ti si addice. Dico bene, Pompeo?"
Pompeo era visivamente imbarazzato dall’atteggiamento prepotente di Silla e preferiva evitare di essere coinvolto, ma quest’ultimo non aveva intenzione di smettere e rivolgendosi a Cesare disse:
"Io ho il dovere di riportare l’ordine in questa città ormai decadente ed è un mio dovere anche uccidere i degenerati e i traditori, tuttavia  non è detto che tu debba morire oggi, anzi, voglio essere clemente con te … voglio concederti la vita in cambio di due cose: dovrai divorziare da Cornelia e dovrai metterti al mio servizio. Se rifiuti ti dovrò uccidere. Cosa mi dici, Donna con il Nome da Uomo?"
Cesare alzò quello sguardo scarlatto e, con un sorriso intrattenuto, rispose:
"Se posso parlare … ecco come vedo io la cosa, Silla: l’unico modo che hai per toccarmi è con l’aiuto di questi uomini e questo potrebbe essere un problema per la tua ‘virilità’ perché sappiamo entrambi che io sarei capace di ucciderti se fossi da sola con te. Tu mi hai dato la possibilità di arrendermi a te ma non pensare neanche per un attimo che io chieda la tua pietà, no, non me ne faccio nulla della tua pietà, preferisco morire piuttosto che essere la cagna di un verme, anzi, forse ti consiglio di uccidermi, Silla. Tu devi uccidermi perché se mi tieni in vita io ti giuro, e guardami bene negli occhi quando te lo dico: io ti giuro che ti ammazzerò con le mie stesse mani."
Il modo con cui Cesare proferì quelle parole, senza peli sulla lingua e senza versare una goccia di sudore, fece sbarrare gli occhi a Pompeo, mai si sarebbe aspettato un simile coraggio da un prigioniero specialmente da una donna dinnanzi ad un uomo di potere come Silla. Il dittatore, però, non era un tipo facilmente impressionabile e disse:
"Hai coraggio ma sei stupida. Ti trovi davanti all’uomo più potente di Roma eppure parli con insolenza e per questo, quando tu sarai morta, io darò il tuo cuore in pasto ai miei cani. Uccidetela."
Le guardie sguainarono le spade ma Pompeo intervenne tempestivamente:
"Aspetta, Silla! Forse stai esagerando."
Silla si voltò, confuso, verso Pompeo.
"Perché? L’hai sentita, no? Lei vuole uccidermi e allora deve morire, è semplice."
"Ma forse la stai sopravvalutando, dopotutto è solo una donna e non può recarti alcun danno, giusto? Esiliala, toglile tutte le sue proprietà e buttala fuori da Roma, non potrà fare niente."
"Beh … forse hai ragione. Dopotutto stiamo parlando di una che non farà mai niente nella vita. Va bene, gettate questa arrogante nella prima nave mercantile e fate in modo che non ritorni più."
Cesare dovette abbandonare così l’Italia e anche sua moglie per avere salva la vita. La ragazza perse tutte le sue ricchezze ma si tenne in contatto con Pompeo, il quale, tramite dei messaggeri, la fece arrivare dal praetor Marco Minucio Termo, in Asia. Termo, amico di Pompeo, accettò su sua richiesta di dare a Cesare la carica di legatus, pur essendo una donna, ma le diede incarichi di secondaria importanza, giusto per tenerla impegnata. La ragazza iniziò a fare amicizia poco alla volta con diversi legionari e prese parte all’assedio di Mitilene nell’81 a.C. . Durante la battaglia, Cesare, dimostrò grande coraggio, affrontò i nemici senza mai perdere la calma e la concentrazione e salvò persino un cittadino romano che era in pericolo e quindi, alla fine della battaglia, ricevette la corona civica, anche nota come corona di quercia, e questo, secondo le riforme di Silla, avrebbe concesso a Cesare di entrare in Senato; la ragazza, però, si rifiutò di tornare a Roma e di iniziare una carriera politica, anche se questo le avrebbe garantito di affrontare Silla.
Le ragioni dietro questa scelta erano molto semplici: lei sapeva che tornare a Roma avrebbe significato morire per mano di Silla, con o senza la corona civica, sarebbe stata uccisa. Non voleva rischiare.
Cesare svolse, così, degli incarichi nel piccolo regno chiamato Bitinia al servizio di re Nicomede IV Filopatore.
 
80 a.C.

Nicomede IV Filopatore era re della Bitinia, alleato di Roma, e fu lo stesso che concesse le navi ai Romani per portare avanti l’assedio di Mitilene, le navi vennero date però troppo facilmente e tutti sapevano che a quei tempi l’ambasciatrice nella corte di Bitinia era Cesare. Non era un mistero che fra i due ci fosse stato qualcosa di più che semplici affari politici.

Le luci dell’alba illuminavano l’immenso terrazzo del palazzo, alte colonne in pietra e verdi tendaggi venivano riscaldati dal sole estivo dell’Asia; Cesare si era messa comoda per osservare il sole ascendente; Nicomede era alle sue spalle, si stava appena svegliando e quando lei se ne accorse disse:
"Perdonami, non volevo disturbarti."
"Va tutto bene, tanto mi sarei svegliato comunque" disse lui, sbadigliando.
"Mi sono innamorata di questo posto, re Nicomede. È magico."
"Perché sei così formale, Cesare? Ormai è quasi un anno che vivi qui, ti sei anche adattata a questo stile di vita. Puoi anche chiamarmi Nicomede e basta." Lui la abbracciò e le baciò la guancia.
"Lo faccio perché tecnicamente adesso dovrei tornare a ricoprire il mio ruolo da ambasciatrice" disse lei con un sorrisetto provocatorio.
"Ruoli, eh? Mi piacerebbe che tu smettessi di pensare al tuo ruolo e pensassi solo a divertirti, la vita politica è noiosa … è molto meglio questo, non trovi anche tu?"
"Sì, sono d’accordo. Scusami. Sai, mi piacerebbe davvero vivere qui con te."
"Già … per quanto possa durare …"
Nicomede si stava già rivestendo e Cesare rimase leggermente attonita da quelle parole. Si voltò verso l’uomo e chiese chiarimenti:
"A cosa stai alludendo?"
"Io … perdonami … forse avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Scusami. Fa finta che non abbia detto niente, Cesare."
"No, dimmelo. Dopo tutto questo tempo mi sembra il minimo pretendere un po’ di sincerità." Cesare si stava innervosendo.
"Va bene, come vuoi … ieri un messaggero è arrivato a corte, non ti ho detto niente perché volevo passare almeno un’ultima notte con te. Il tuo, ehm … comandante, Termo, partirà per Roma oggi stesso e ti lascia libera di occuparti di alcune faccende politiche qui in Asia …"
"Bene! No? Così possiamo stare insieme e-"
"Non ho così tanto tempo, Cesare. Sono malato, gli Dei non mi proteggeranno a lungo dalla morte e non voglio che tu mi veda morire lentamente, voglio che tu conservi questi momenti con te."
"Scusami, forse ho capito male ma … mi stai scacciando dal tuo palazzo?"
"No, io ci tengo troppo a te per volerti via da qui ma … ti amo così tanto che ho bisogno di risparmiarti la vista della mia morte" rispose lui asciugandosi le lacrime.
"E dove andrò? Cosa farò? Non ho niente. Non ho una casa, non ho una vita a Roma  … non c’è più niente per me lì … ho perso tutto."
"E la ragazza che amavi?"
"Credi davvero che lei sia ancora lì ad aspettarmi? No. No, è impossibile. Sicuramente sarà sposata con qualche aristocratico. Non posso andare lì e vedere i resti della mia vita precedente. Sarebbe troppo doloroso. Troppo per una come me. Ti prego lasciami restare-"
"NO!" esclamò lui in lacrime.
"Nicomede … ti prego …"
"No … mi dispiace, ma non posso. Lo faccio per te. Credimi, se io avessi più tempo ti terrei qui con me, ma non ho tempo. Non ho abbastanza tempo per godere della tua compagnia. Non posso. Devi tornare a Roma, devi tornare a casa e realizzare il tuo destino."
"Io non ho nessun destino. Guardami, Nicomede, guardami! Non ho niente! Sono una persona qualsiasi! Nessuna divinità è giunta a salvarmi! Nessuna divinità mi ha protetta! Ho perso tutto! TUTTO! Non c’è nessun destino per me, tutto quello che ho sei tu. TU!" Cesare stava piangendo e si stringeva il petto con la mano.
"Ti lascerò parte delle mie ricchezze, Cesare, usale per farti un nome a Roma, usale  per realizzare il tuo destino. Tu non ci credi, ma io sì. Io so che tu sei destinata a qualcosa di grande. Per questo pregherò per te e per questo ti devo cacciare dal mio palazzo."
"Nicomede io ti-"
Lui le asciugò le lacrime e la baciò. Nicomede mormorò appoggiando la fronte su quella di Cesare:
"Addio, amore mio."
Quel medesimo giorno Cesare abbandonò per sempre la Bitinia e il suo amato re.
La ragazza era pronta a tornare a Roma ma venne chiamata in Cilicia da Publio Servilio Vatia Isaurico il quale aveva bisogno di lei per combattere i pirati nella zona. Dopo un anno in Cilicia, finalmente, Cesare tornò a Roma nel 78 a.C., in quel medesimo anno il dittatore Silla morì.