12 luglio 100 a. C.
Dopo lunghe ore di travaglio, grida e sangue, a mezzanotte, con la luna piena alta nel cielo nero limpido, Aurelia Cotta partorì una bambina nella villa di Gaio Giulio Cesare, suo marito. Le serve presero in mano la piccola bambina, le pulirono il volto e il corpicino poi l’avvolsero in un panno e la diedero alla madre, sudata e affaticata, che tendeva le mani balbettando:
"Fa-fatemi vedere mio figlio."
"Mia signora, è una femmina. Avete avuto una bellissima figlia femmina in salute ma … non apre gli occhi e non ha neanche aperto bocca."
"Datemi mia figlia … voglio vederla … con i miei stessi occhi …"
Aurelia prese in mano la bambina, era viva, stava respirando regolarmente ma non aveva pianto, una cosa molto strana per un neonato; le accarezzò il volto e le baciò la fronte e solo allora vide quegli occhi scarlatti profondi che riflettevano la luce della luna. Aurelia s’innamorò subito di quello sguardo tranquillo ma serio come quello di un condottiero, tenendo in braccio quella piccola neonata aveva l’impressione di aver avuto un dono da parte degli Dei.
Entrò nella stanza Gaio Giulio Cesare, ansioso di vedere la figlia ma quando si accorse degli occhi rossi come il sangue si sconvolse e domandò alla moglie:
"Una cosa del genere non è normale. I suoi occhi sono-"
"Forse è un segno. Forse è stata benedetta da Venere e questo è il marchio della sua benedizione."
"E se fosse una maledizione?"
"No, non lo è, ne sono sicura. Guarda il suo volto, guarda i suoi bellissimi occhi. Non è maledetta … è benedetta. Io ho fede."
Il marito, alla fine, dovette accettare la versione di Aurelia, si avvicinò a lei per vedere meglio la figlia e commentò:
"Non ho mai visto un neonato talmente silenzioso."
"Vedi? Lei è speciale."
"Va bene, ma come la vuoi chiamare?"
"Non lo so. Tu hai pensato a un nome, mio caro?"
"Se fosse stato un maschio lo avrei chiamato come me … ma è una femmina, non so che nome darle. Forse Giulia."
"Mi piace-"
Allora le serve fecero entrare una donna anziana con il volto coperto, camminava reggendosi ad un lungo bastone di legno al quale era attaccata una catenella dorata alla cui estremità era legato un piattino concavo sul quale bruciava un fuoco. L’anziana alzò la mano per salutare i due genitori.
"Una vestale?" domandò Aurelia Cotta esigendo delle spiegazioni dal marito.
"Sì, era con me quando tu stavi partorendo. Ha detto che voleva vedere il neonato, è una cosa nuova. Le vestali non fanno visita alle famiglie, generalmente."
"Forse vuole benedire nostra figlia? È un onore! Prego, entra pure, vieni a vedere la mia bellissima bambina dagli occhi scarlatti."
L’anziana donna si avvicinò alla neonata, le vide gli occhi e le accarezzò il volto e percepì, toccandola, una forte energia … energia divina. Guardò i genitori con due occhi sbarrati, era come se avesse assistito a qualcosa di miracoloso; si rivolse ad Aurelia Cotta e le disse con una debole voce:
"Questa bambina è benedetta, ha sangue divino. Non conoscerà vecchiaia; come Romolo dovrà compiere il suo destino ed abbandonare il mondo mortale e come Enea dovrà fondare qualcosa di nuovo. In pace sarà benedetta da Venere, in guerra sarà guidata da Marte e nei sogni vedrà Giove. Lei sarà come l’acqua e come il vento ed il suo nome cambierà il corso della storia per sempre."
La madre si entusiasmò nel sentire quella predizione mentre il padre, un po’ più scettico, disse:
"Senza offesa, vestale, ma lei non è un maschio. Cosa potrà mai fare nella vita? Sarà moglie di un grande uomo, al massimo, ma nulla l’attende. La gloria di cui lei parla spetta all’uomo, a colui che è virtuoso."
"Stolto, quella neonata che tua moglie stringe fra le braccia non avrà un simile destino. Non sarà moglie di nessun grande uomo, perché ogni grande uomo o grande donna sarà insetto al suo confronto. Il suo corpo non potrà dare la vita, tale è il sacrificio che gli Dei hanno scelto in cambio del potere di cui godrà quando salirà sul trono di Roma. Nessun nemico riuscirà a sconfiggerla, la Fortuna veglierà su di lei. Quella bambina con gli occhi scarlatti plasmerà il mondo e cambierà il corso della storia per sempre. Ma perché ciò avvenga il tuo nome dovrà essere il suo nome."
"Devo chiamare una femmina con un nome da maschio?! Questo è … assurdo! Mi rifiuto di fare una cosa simile! "
"Non insultare la vestale! Lei è sacra!" rimproverò Aurelia Cotta.
"Non voglio mancare di rispetto agli Dei ma è eccessivo dare ad una femmina un nome da maschio e trattarla come se avrà un futuro da maschio. Lei non avrà mai virtù, è un fatto. Come padre preferisco che mia figlia venga protetta da un uomo che le dia una casa dove stare e dove vivere in pace, lontana dagli orrori della guerra e-"
La vestale sbatté il bastone sul pavimento. L’uomo si zittì. L’anziana donna, con uno sguardo freddo come l’inverno, indicò la luna piena che si vedeva dalla finestra e disse:
"Tua figlia è nata in una mezzanotte di luna piena, Giunone stessa la sta benedicendo e tu le vuoi negare il suo destino solo perché è una femmina? Ascolta queste mie parole: io non ti obbligherò a darle quel nome ma sappi che è necessario che lei lo abbia affinché il suo destino possa avverarsi. Questa è la volontà degli Dei."
"Ma-"
"La tua famiglia vive in un periodo buio. La carenza di monete e di influenza è accompagnata dall’aumentare dei debiti. Vuoi restituire onore alla tua famiglia? Vuoi restituirle potere? Esegui il volere divino."
L’uomo guardò sua moglie, i suoi occhi lo supplicavano di ascoltare le parole della vestale e lui aveva paura di mancare di rispetto agli Dei e di farli infuriare. Nelle parole della vestale egli sentiva saggezza, ciò che lei aveva proferito non era falso e così, dopo aver tirato un sospiro arrendevole, baciò Aurelia Cotta e acconsentì.
La madre sollevò sua figlia verso la luna e disse:
"Tu sarai Cesare. Gaio Giulio Cesare."
93 a.C.
Nella villa della gens Iulia, una piccola bambina con lunghi capelli bianchi e gli occhi rossi stava giocando nel giardino insieme a degli amici. Aurelia Cotta vedeva sua figlia, Cesare, divertirsi e ridere come una bambina normale, era così felice di avere una figlia protetta dagli Dei; ma allo stesso tempo temeva per lei perché in cuor suo sapeva che le grandi persone avevano molti nemici, ma non voleva assillarsi con quei pensieri negativi, voleva vivere il presente e godersi i momenti di pace che le erano concessi.
Giunse il marito, con la sua toga da senatore.
"Io vado." disse lui.
"Certo, certo." Aurelia era distratta, probabilmente non aveva neanche ascoltato il marito.
"Sei assente, mia cara. Cosa succede?"
"Cosa hai detto?"
"Ecco, lo vedi? Non mi ascolti."
"Perdonami, amore, ma sto pensando a nostra figlia. Ho paura di quello che le accadrà."
"Sei tu che mi hai convinto a darle il mio nome."
"Non rimpiango quella scelta, ma sono comunque preoccupata per lei."
"Pensa a me che devo sopportare le prese in giro dei miei colleghi."
Aurelia si voltò verso il marito.
"Tu li ascolti? Non dovresti. Sono solo degli sciocchi."
"Non è comunque bello quando dicono che a nostra figlia crescerà la barba."
"Non mi interessa quello che dicono. Gli Dei hanno voluto che lei avesse quel nome, anche tu vedi che è diversa da tutti gli altri. Come puoi negare un fatto?"
"Non mi fido delle profezie, tutto qui. Mi basta sapere che ha tanti amici, che ha due sorelle maggiori che le vogliono bene e che è anche amica di Cossuzia. Lo sai, la sua famiglia è molto ricca, potrebbe aiutarci con i nostri debiti."
"Non voglio la loro pietà."
"E cosa vuoi? Aggrapparti alla vana speranza che una donna possa cambiare Roma? Scusami, ma io preferisco essere realista."
"Io ho fede in lei," disse, guardando negli occhi il marito "al contrario tuo, io credo in lei. So che lei cambierà il mondo perché questo è il volere degli Dei."
"Ormai non posso più convincerti del contrario … ma sai cosa ti dico? Un giorno scoprirai che lei, come tutte le donne, desidera avere un marito e fare la madre. Le donne non combattono la guerra e non comandano le città."
"Sei davvero un miscredente-"
Si udirono le urla dei bambini. Aurelia si voltò immediatamente e vide i piccoli correre fuori dal giardino, poi vide Cesare sdraiata per terra, aveva degli spasmi continui, una crisi epilettica; immediatamente, la donna, uscì di casa, raggiunse il giardino e abbracciò Cesare per tenerla ferma:
"Cesare, calmati! Calmati! Calmati, ti prego …"
Il marito di Aurelia uscì, aveva gli occhi spalancati, increduli.
Dopo un paio di minuti la bambina smise di muoversi, sollevò il capo verso sua madre e domandò, confusa:
"Perché sei qui, mamma? È successo qualcosa?"
"Oh, piccola mia!" esclamò Aurelia Cotta in lacrime, stringendo fra le braccia la sua bambina.
Il padre di Cesare, vedendo quell’attacco epilettico, mormorò, sconvolto:
"Ha il morbo sacro."
Per via dell’inspiegabilità e dell’imprevedibilità delle crisi epilettiche, sia nell’antica Grecia sia nell’antica Roma, chi soffriva di epilessia veniva ritenuto benedetto dagli Dei. Chi aveva il morbo sacro era entrato in contatto diretto con le divinità e quindi, quando i genitori di Cesare videro quella scena, compresero che lei era davvero stata consacrata.
"Tu li ascolti? Non dovresti. Sono solo degli sciocchi."
"Non è comunque bello quando dicono che a nostra figlia crescerà la barba."
"Non mi interessa quello che dicono. Gli Dei hanno voluto che lei avesse quel nome, anche tu vedi che è diversa da tutti gli altri. Come puoi negare un fatto?"
"Non mi fido delle profezie, tutto qui. Mi basta sapere che ha tanti amici, che ha due sorelle maggiori che le vogliono bene e che è anche amica di Cossuzia. Lo sai, la sua famiglia è molto ricca, potrebbe aiutarci con i nostri debiti."
"Non voglio la loro pietà."
"E cosa vuoi? Aggrapparti alla vana speranza che una donna possa cambiare Roma? Scusami, ma io preferisco essere realista."
"Io ho fede in lei," disse, guardando negli occhi il marito "al contrario tuo, io credo in lei. So che lei cambierà il mondo perché questo è il volere degli Dei."
"Ormai non posso più convincerti del contrario … ma sai cosa ti dico? Un giorno scoprirai che lei, come tutte le donne, desidera avere un marito e fare la madre. Le donne non combattono la guerra e non comandano le città."
"Sei davvero un miscredente-"
Si udirono le urla dei bambini. Aurelia si voltò immediatamente e vide i piccoli correre fuori dal giardino, poi vide Cesare sdraiata per terra, aveva degli spasmi continui, una crisi epilettica; immediatamente, la donna, uscì di casa, raggiunse il giardino e abbracciò Cesare per tenerla ferma:
"Cesare, calmati! Calmati! Calmati, ti prego …"
Il marito di Aurelia uscì, aveva gli occhi spalancati, increduli.
Dopo un paio di minuti la bambina smise di muoversi, sollevò il capo verso sua madre e domandò, confusa:
"Perché sei qui, mamma? È successo qualcosa?"
"Oh, piccola mia!" esclamò Aurelia Cotta in lacrime, stringendo fra le braccia la sua bambina.
Il padre di Cesare, vedendo quell’attacco epilettico, mormorò, sconvolto:
"Ha il morbo sacro."
Per via dell’inspiegabilità e dell’imprevedibilità delle crisi epilettiche, sia nell’antica Grecia sia nell’antica Roma, chi soffriva di epilessia veniva ritenuto benedetto dagli Dei. Chi aveva il morbo sacro era entrato in contatto diretto con le divinità e quindi, quando i genitori di Cesare videro quella scena, compresero che lei era davvero stata consacrata.