domenica 31 gennaio 2021

[ITA] Capitolo 9 : Cesare l'eroe ... Cesare il mostro

55 a.C.

Cesare era riuscita ad impadronirsi di gran parte della Gallia, la sua fame di potere sembrava insaziabile e persino lo stesso Diviziaco, che prima la vedeva come una figura di grande onore e prestigio, stava iniziando a temerla per via del gran numero di schiavi che stava inviando a Roma e per via delle troppe guerre che stava combattendo. Cesare si trovava nella sua tenda insieme a Marco Antonio, Tito Labieno e Gaio Trebonio; i quattro, davanti ai rapporti inviati dalle altre legioni, stavano pensando a come respingere i diversi ribelli che volevano opporsi al dominio Romano.
"Meriterebbero di bruciare" asserì Trebonio.
"Non esagerare," rimproverò Labieno "non possiamo commettere dei massacri inutili, è meglio non fare adirare le popolazioni più del necessario. Il nostro problema sono quei popoli come i Menapi, i Carnuti, i Turoni, i Sequani e molti altri … stanno scegliendo dei capi che odiano Roma."
"Allora distruggiamoli finché possiamo. Sono inferiori rispetto a noi, non sarà difficile massacrare qualche villaggio."
"Apri bene le tue maledette orecchie, Trebonio: una mossa del genere è troppo avventata. Non possiamo rischiare di perdere quei pochi alleati che abbiamo. Metti da parte il tuo odio per i Galli e ascolta la ragione, stolto."
"Come osi?!"
"Va bene, calmiamoci." Intervenne Marco Antonio per placare gli animi caldi. "Non c’è bisogno di litigare, possiamo ancora gestire la situazione. Quello che ci serve è una strategia per impedire delle congiure."
"Sta già avvenendo" disse Trebonio, innervosito.
"Non è vero. Ci sono solo dei capi anti-Romani ma questo non significa che non possano essere ‘convinti’ a stare dalla nostra parte. Con la giusta quantità di monete possiamo convincere quegli sciocchi a deporre l’ascia di guerra."
"Quindi dobbiamo sprecare ricchezze per loro?! Sei un mentecatto, Antonio!"
"Chiediamo a Cesare. Lei saprà cosa fare."
I tre uomini si voltarono verso la ragazza che stava leggendo attentamente e silenziosamente i diversi rapporti. Questa alzò la testa e, quando capì di essere osservata, sospirò, innervosita, e disse:
"Il fatto che voi vi mettiate a litigare su queste banalità mi fa pensare che abbiate avuto un pessimo risveglio. Non c’è bisogno di arrabbiarsi, possiamo gestire la situazione senta ferire nessuna tribù della Gallia. Molte popolazioni lamentano dei problemi con i Germani, sono loro la fonte dello scontento delle masse. Lo spirito anti-Romano è alimentato da una pessima protezione dei confini, giacché gli spostamenti dei Germani inquietano i Galli."
"I Galli non vogliono i Germani nelle loro terre" concluse Labieno.
"Esattamente. Quindi ciò che noi dobbiamo fare è respingere il problema."
I Germani che si trovavano oltre il Reno stavano diventando, secondo i rapporti inviati a Cesare, un problema per le popolazioni in Gallia. Gli Usipeti e i Tencteri, con una massa di oltre 430mila uomini si spinsero oltre il fiume, in Gallia, nelle terre dei Menapi;  Cesare, che voleva impedire uno stroncamento delle diverse alleanze fatte con i popoli indigeni, decise di agire. Inizialmente provò a mandare degli ambasciatori per convincere i popoli a tornare indietro ma il fallimento di queste tattiche portò Cesare a scegliere un metodo più cruento, il più feroce mai adottato fino a quel momento.
La ragazza fece marciare le sue legioni e  la sua cavalleria, quindi sterminò interi accampamenti ordinando ai soldati di bruciare le case e i raccolti e ordinò il massacro di duecentomila uomini, donne e bambini. Quell’atto brutale e disumano non solo venne compiuto con una freddezza quasi demoniaca ma, come se non bastasse, Cesare ne scrisse, documentò il fatto senza vergogna e quando il Senato venne a sapere di queste atrocità, scoppiò l’indignazione fra gli anti-cesariani.
Catone, il grande avversario di Cesare, condannò per primo le azioni della ragazza e ordinò che venisse consegnata ai Germani come punizione per le sue gesta mostruose; ma il Senato concesse a Cesare la possibilità di proseguire le campagne senza nessuna interruzione. Gli aristocratici, corrotti dalla quantità di schiavi che venivano mandati a Roma, non avevano intenzione di interrompere la campagna di Cesare e così Catone rimase nuovamente da solo.

Nel frattempo, sulle coste della Gallia, Cesare aveva fatto allestire il suo accampamento in preparazione al suo attacco alla Britannia. Diviziaco, ancora scandalizzato e spaventato per ciò che aveva visto sulle sponde del Reno, incontrò la ragazza mentre si stava preparando per la battaglia, con un tono rammaricato le disse:
"Quello che hai fatto non può essere perdonato, Cesare. Aria, che prima ti guardava con ammirazione è scappata, è tornata nella sua patria per paura di essere influenzata dal male che ti circonda. È così che vuoi essere ricordata? Come un mostro?"
"In guerra non ci sono mostri, ma solo vincitori e sconfitti. Io sto facendo una guerra non faccio filosofia, Diviziaco."
"Ti piace smettere di pensare, non è così? Ti fa sentire meno in colpa, vero? È tutto giustificato se ti consideri solo una guerriera che pensa come una guerriera. Ma non lo sei. Io lo so. Io ho letto le tue splendide poesie e i tuoi saggi, ho sentito la tua profonda filosofia e so che sei una ragazza intelligente, troppo intelligente per compiere queste atrocità."
"Perché mi dovrebbe importare quello che pensi tu?"
"Perché non sei idiota e sai che tutto questo avrà delle conseguenze molto gravi. Non sto parlando con un re barbaro come Ariovisto che pensava solo alla guerra e alla conquista, io sto parlando con Gaio Giulio Cesare e tu sei molto di più … o almeno questo lo spero. Spero davvero che tu sia diversa da un tiranno affamato di potere."
"E se non lo fossi?"
"Cesare," Diviziaco si avvicinò alla ragazza e le prese una mano "puoi ingannare il mondo, ma non me. La guerra ti sta imbruttendo e non lo vuoi ammettere. Eri giunta con le migliori intenzioni e te ne vuoi andare lasciando alle tue spalle un mare di sangue. Non pensare a me, pensa a ciò che ne sarà di te, pensa al tuo sogno … potrà davvero essere realizzato se continuerai ad uccidere migliaia di persone?"
"Non posso essere altro, Diviziaco." Cesare tolse la mano e diede le spalle all’uomo. "Non posso essere altro per Roma. In un mondo controllato da uomini privilegiati e da politici corrotti, una donna può diventare potente solo sporcandosi le mani di sangue. Il sacrificio della Gallia, della Germania e della Britannia ha questo unico scopo: rendermi potente."
"Tutto qui?"
"Perché lo chiedi?"
"Perché hai una spada divina, Cesare, e sono ancora convinto che ci sia una ragione. Se tu possiedi Crocea Mors è perché tu sei importante. Le divinità non proteggono le persone malvagie."
Quel giorno Cesare salpò insieme alle sue legioni verso la misteriosa isola della Britannia. Lì affrontò e sconfisse le popolazioni Barbare facendo circolare in poco tempo il suo nome in tutta l’isola. I Britanni, un popolo di grandi guerrieri, sembravano come bambini davanti all’immensa bravura militare di Cesare. Da quando la ragazza mise piede in quelle terre non perse neanche una battaglia e questo sollevò l’attenzione del principe Britannico, Nennio. Egli, che aveva sentito parlare di questa guerriera impossibile da sconfiggere, decise di sfidarla in duello, ad armi pari; Cesare accettò solo perché in cambio venne promessa a lei la possibilità di ottenere diversi domini nel territorio.
I due si sfidarono con la spada e con lo scudo, Cesare si rifiutò di usare Crocea Mors.
Il principe Nennio era un uomo altro, con una muscolatura possente e con la lunga barba bionda; il suo volto, dipinto di blu, aveva due occhi assettati di sangue e quando scese dal suo destriero maculato venne accompagnato dalla bellissima moglie che portava le sue armi.
"I fiori di questa terra germoglieranno con il tuo sangue, Cesare."
La ragazza rispose alla provocazione con un sorrisetto brioso.
"Non sottovalutarmi, donna, sappi che per mano mia sono caduti molti nemici. Tu sarai un’altra di questi."
"L’importante è crederci."
Dalla bocca di Nennio uscì un grido di battaglia simile al ruggito di una bestia e l’uomo, con una velocità sovraumana menò un fendente talmente forte da spaccare lo scudo della ragazza; Cesare cadde a terra  per colpa del fortissimo impatto e quando si rialzò vide Nennio davanti a sé, pronto a sferrare un altro colpo. La ragazza schivò con un salto, rotolò per terra e quando tornò in piedi provò ad attaccare il nemico alle spalle; ma Nennio, per qualche ragione, fu abbastanza celere da girarsi e da ferire il fianco di Cesare con un affondo. Lei dovette arretrare per avere salva la vita.
"Ma guardati! Sei davvero patetica, Romana! Pensavi di potermi sconfiggere con così poco? Io non sono come quei deboli che tu hai affrontato."
Cesare, infuriata, attaccò nuovamente, ma stavolta la sua spada venne spezzata dalla lama di Nennio. L’uomo usò il suo scudo per colpire la testa di lei; Cesare cadde a terra, stordita, e quando cercò di rimettersi in piedi venne colpita da un calcio così potente che la fece volare almeno quindici passi indietro.
Ferita e stanca, Cesare, dovette usare Crocea Mors. Impugnò l’arma e sferrò un singolo fendente, ma la lama si conficcò nello scudo di Nennio.
L’uomo, con uno sguardo soddisfatto, disse:
"A quanto pare la tua fine è arrivata, Romana."
"Di che stai parlando?"
Si udì il suono di un corno da battaglia, giunsero dei Britanni che attaccarono alle spalle i legionari Romani: il duello era solo una trappola. La legione di Cesare non sarebbe riuscita ad uscirne viva, bisognava ordinare la ritirata ma la spada era ancora incastrata nello scudo. Cesare aveva solo due scelte: abbandonare l’arma o provare a prenderla con sé.
"Dopo tanto tempo, finalmente sconfiggeremo gli invasori" disse Nennio, preparandosi a sferrare il colpo di grazia.
Cesare aveva due scelte: andarsene via con la legione, quindi abbandonare la spada, oppure provare a salvare Crocea Mors ma rischiare di perdere i suoi uomini.
"Ma che scelta è questa?" si domandò, fra sé e sé, con un sorriso ansioso. "Devo scegliere fra un’arma divina e i miei legionari? Credete davvero che io abbia bisogno di Voi?! Io non ho bisogno di NESSUNO!"
Cesare mollò Crocea Mors. Schivò il colpo di Nennio. Afferrò il braccio dell’uomo e gli morse la mano per costringerlo a mollare la spada. Prese l’arma al volo. Con una mossa veloce, Cesare tagliò la gola a Nennio e prima di andarsene disse:
"Te la puoi anche tenere quella stupida spada, forse ai vostri deboli re tornerà utile."
Cesare se ne andò e ordinò alla sua legione di ritirarsi. I guerrieri Britanni vennero respinti e i Romani riuscirono a fuggire senza troppi feriti.
Cesare, quindi, fece ritorno all'accampamento con i suoi uomini.
Quando Diviziaco vide tornare la ragazza senza la spada divina rimase scioccato e le domandò:
"Cosa ne hai fatto dell’arma, Cesare? Dov’è Crocea Mors?"
Lei lo guardò. Sorrise.
"Ora non è più un problema mio, Diviziaco."
"Hai rinunciato volontariamente al potere divino?! Hai rifiutato intenzionalmente la protezione delle divinità?! Perché hai commesso una simile blasfemia, Cesare?"
"Perché non ho bisogno di una spada divina per vincere. Ma se ci tieni così tanto puoi andarla a recuperare come un bravo cane, druido."

Quella notte Diviziaco fece visita al corpo di Nennio. Nessuno osò fermare il druido per rispetto della sua carica. Egli prese con sé Crocea Mors ma invece di portarla a Cesare la portò via con sé in una foresta. Raggiunse un lago cristallino illuminato dal chiarore della luna. Dalle acque sorse una fanciulla ignuda i cui lunghi capelli azzurri adornati di alghe coprivano i seni; Diviziaco porse la spada a lei e le disse:
"Dama del Lago, ninfa di Venere, a te affido il compito di plasmare la lama e di darle nuove sembianze affinché venga pulita dal sangue innocente. Un nuovo nome dovrà avere e solo una discendente di Romolo potrà impugnarla."
La fanciulla prese la lama e silenziosamente tornò nel lago. Diviziaco chinò il capo in segno di rispetto e scomparve nella selva oscura.