giovedì 4 febbraio 2021

[ITA] Capitolo 13 : Una pace precaria

Cesare aveva posto fine alla guerra civile e non solo ottenne la carica di dittatore, che lei rese perpetua, ma decise di celebrare le sue vittorie elargendo ad ogni legionario e ad ogni abitante di Roma del denaro e organizzò feste, giochi nell’anfiteatro e anche recite teatrali per far tornare la gente contenta.
Per la prima, dopo lunghe battaglie, Cesare poté godersi la pace. Non solo riabbracciò la sua amata Calpurnia ma poté anche dedicarsi a quelle attività che aveva trascurato come la poesia e la filosofia. La ragazza organizzò anche dei funerali per ricordare i valorosi soldati Romani che avevano combattuto al suo fianco e che erano morti con onore.
Cesare, in quel periodo, iniziò a frequentare i teatri e durante le recite si tendeva prenderla un po’ in giro e lei amava farsi due risate. Il senso di auto-ironia della ragazza fu gradito sia da scrittori che da poeti, e qualche volta persino i soldati si divertivano a canzonarla.
Crebbe, tuttavia, un sentimento di sottomissione nei confronti della fanciulla e molti cittadini iniziarono a comportarsi come sudditi, anzi, volevano essere considerati tali e volevano Cesare come monarca di Roma, ma di fatto lei non lo diventò mai.
Non voleva né essere trattata come una regina, né diventarne una.
In politica Cesare ordinò un censimento degli abitanti di Roma per poter migliorare la gestione cittadina, fondò nuove colonie nelle provincie in questo modo poté rifondare città come Cartagine e Corinto che erano state distrutte un secolo prima. Fece costruire un tempio in onore di Venere, aprì nuove strade che dovevano collegare Roma con le terre del nord, fece bonificare le paludi, riformò il calendario con l’aiuto di matematici e astronomi, ridusse la pressione fiscale, fece ricostruire le statue di Silla, Pompeo e di Gaio Mario, che erano state abbattute durante la guerra civile. Il messaggio era chiaro: bisognava tornare alla normalità e dimenticarsi della guerra civile.
Cesare non voleva più divisione politiche. Non voleva più rivalità interne. Voleva coalizzare il popolo, voleva unire la gente in questo periodo di pace.
Ma la pace fu precaria.
Le ribellioni ricominciarono in Spagna per mano di due figli di Pompeo e del luogotenente di Cesare: Tito Labieno.

45 a.C.

Cesare raggiunse la Spagna per porre fine alla ribellione. Prima della battaglia, la ragazza, raggiunse la sua tenda per riflettere e Marco Antonio, il suo più fidato alleato, la seguì e quando la  vide piangere si preoccupò.
"Cesare, stai bene? Perché piangi?"
Poi vide il pugnale nelle mani di lei.
"Cesare? Cosa succede? Cosa stai facendo con quel pugnale?" domandò Marco Antonio, sconvolto.
Lei si girò verso di lui, sorpresa di vederlo e nascose l’arma.
"Niente" rispose lei fingendo di sorridere.
"Stai piangendo. Cosa c’è, Cesare? Perché piangi?"
"Non è niente … sul serio. Vai via."
"Ti prego, parlane con me. Non hai nulla da temere, Cesare, posso capirti, lo sai. Hai paura di perdere contro Labieno? Non puoi avere paura di perdere, con te noi possiamo vincere."
"E se non fosse l’ultima? E se ci fosse un’altra battaglia? E poi un’altra ancora? Perché gli uomini non capiscono mai quando è tempo di arrendersi? Ormai è inutile proseguire la lotta. Eppure eccoli … tutti radunati e guidati dal mio luogotenente più fidato, Tito Labieno … il mio amico … vuole distruggere la pace che io ho donato a Roma. Perché? Sono io il problema? Allora tanto vale che io mi uccida in modo da porre fine a questa follia, perché non ce la faccio più a combattere. È troppo per me."
"Basta! Noi possiamo vincere, Cesare! Fidati di me. Questa sarà l’ultima battaglia! Guidaci, portaci alla vittoria e ti prometto che nessun altro oserà ribellarsi" esclamò Marco Antonio.
Cesare capì subito dallo sguardo di Antonio che neanche lui ci credeva eppure, nonostante questo, in lui covava la speranza che presto tutto sarebbe finito per il meglio e lei non voleva lasciar morire quella speranza. Cesare si asciugò le lacrime, prese la sua spada e disse:
"Io volevo essere l’eroe di Roma ma a Roma non ci sono eroi."
Durante la guerra civile in Spagna, Cesare, abbandonò la solita clemenza con la quale perdonava i suoi nemici e decise di mostrare la sua crudeltà. Senza esitazione, senza ripensamenti, Cesare mosse contro altri Romani, contro altri legionari, e ordinò che venissero massacrati. Non voleva lasciare nessun traditore vivo, tutti dovevano essere uccisi. L’efferatezza di quella guerra disgustò sia i senatori che il popolo ma poco contava per Cesare.
La battaglia di Munda fu l’unica battaglia in cui Cesare avrebbe potuto perdere. Tito Labieno conosceva le tattiche di Cesare, le aveva apprese durante la conquista della Gallia e per questo sapeva come contrastare le sue mosse e fu capace di metterla in seria difficoltà.
La battaglia di protrasse per alcuni giorni. Le strategie di Labieno erano efficaci proprio come quelle di Cesare e nessuno dei due aveva intenzione di perdere. La cavalleria di Labieno fu in grado di eliminare diversi fanti nemici e costrinse Cesare a scendere in prima linea.
La presenza della ragazza aumentò il morale dell’esercito ma non produsse i risultati sperati da lei, infatti i nemici non persero la voglia combattere e continuarono a resistere senza mai smettere di opporsi alle legioni cesariane.
L’unico modo per affrontare Labieno era, secondo Cesare, farsi aiutare da un prezioso alleato, un re chiamato Bogud. Costui era un sovrano africano, padrone della Mauretania. L’esercito del sovrano straniero attaccò la legione di Labieno alle spalle e la mise in crisi.
Cesare sfruttò quella situazione per rompere la formazione nemica e attaccare direttamente Tito Labieno. Quando i due si incontrarono, sotto la calda pioggia, si scambiarono diversi colpi di spada senza ferirsi.
"Smetti di combattere, Labieno! Quello che stai facendo non ha senso! Stai mandando a morire i tuoi soldati per niente! Poni fine a questa follia finché puoi! Torna dalla mia parte e tutto ti sarà perdonato!"
"Mai! Non sarò mai più un tuo luogotenente!"
"Perché? Cosa ti ho fatto di male? Ti ho dato tutto! Il mio affetto, la mia amicizia e persino il mio corpo! Perché ti ostini a combattermi!"
"Perché la mia fedeltà a te è seconda a quella nei confronti di Roma! Tu hai ucciso Pompeo! Hai eliminato Catone! Ti sei alleata ad una vipera che desidera manipolarti e trasformare Roma in una monarchia teocratica e hai ucciso i nostri fratelli minacciando di distruggere la Repubblica per la quale io ho deciso di mettere in gioco la mia stessa vita! Io sono un soldato e morirò per la Repubblica non per una monarchia!"
"Io non voglio la monarchia! Io voglio solo cambiare le cose!"
Cesare diede un calcio allo stomaco di Labieno e l’uomo cadde a terra, ma si rialzò immediatamente.
"Menzogne! Le tue sono solo menzogne! Io ti conosco! Quindi smetti di trattenerti e mostra i tuoi veri colori, Cesare!" urlò Tito Labieno ferendo la ragazza al braccio.
"Labieno, guardati attorno! State perdendo!" Cesare ferì l’uomo al fianco.
"Non perderò contro di te!"
Le spade continuarono a scontrarsi e poi, alla fine, l’uomo diede un colpo che disarmò la ragazza. Cesare si trovò la lama di Labieno puntata alla gola.
"Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme … è questo quello che vuoi?"
"Sei stata la migliore amica e la migliore amante che io abbia mai avuto … e ora sei anche la peggiore dei miei nemici. È davvero così crudele il fato. Non trovi anche tu, Cesare?"
"Lo so."
Lui si preparò a tagliarle la testa. Quando arrivò il fendente lei si abbassò, sfoderò un pugnale e trafisse la trachea di Labieno. I due caddero assieme in una pozza di fango. Quando lei riaprì gli occhi e vide lo sguardo spento dell’uomo, il suo cuore disperò. Le lacrime di lei bagnarono quel volto esanime. Cesare chiuse gli occhi di lui e proferì queste parole:
"Gli uomini credono volentieri ciò che desiderano sia vero. Tu non eri un’eccezione, mio amico."
La battaglia si concluse. I legionari si radunarono attorno al corpo di Labieno. Quelli che avevano combattuto contro Cesare, quando videro il corpo del loro comandante, si indignarono ed uno di loro, in lacrime, urlò a Cesare:
"Mostro! Sei una vergogna! Come hai potuto uccidere un tuo amico?"
Cesare, sporca di sangue e fango, non rispose; raccolse la spada e si avvicinò al soldato e con un’occhiata gelida disse:
"Taci."
La ragazza tagliò la testa a quel legionario. Gli alleati di Cesare rimasero scioccati e disgustati allo stesso tempo, Marco Antonio, esclamò:
"Non era necessario! Perché lo hai fatto?! Ormai si erano arresi!"
"Stai zitto o ti accadrà la stessa cosa" disse lei freddamente, voltandosi verso di lui.
Gli sguardi di tutti i presenti erano inorriditi e anche spaventati. Lei li guardò tutti. Uno ad uno. Quegli occhi di sangue erano colmi di disappunto. Cesare indicò con la spada il cadavere di Tito Labieno ed esclamò:
"Sono delusa da tutti voi! Tutti voi, che avete tradito, mi avete delusa! È questo quello che volete che sia Roma? Un paese sempre diviso da guerre civili che può facilmente cadere vittima di Barbari? È questo quello che volete? Questo è ciò che desiderate? Desiderate combattere contro i vostri fratelli e le vostre sorelle senza curarvi dell’immagine che noi diamo al mondo?"
Nessuno rispose, ma gli sguardi erano stati catturati da lei.
"Noi siamo Roma! Noi siamo legge, civiltà, esercito e giustizia! Tutti i popoli sono uniti da noi! Tutte le persone vogliono essere come noi! Siamo un modello per gli stranieri e dovremmo accoglierli tutti per renderli parte del nostro sogno di non avere confini. Esatto, mi avete sentito bene! Roma non ha confini! Perché Roma non è semplicemente la capitale del mondo … essa è il Mondo! Tutto il Mondo è Roma!"
Gli sguardi dei soldati si accesero e i loro cuori vennero riscaldati da quelle parole.
"Noi conquisteremo l’orizzonte, insieme! Per anni Roma è stata avversa agli stranieri e ha preferito discriminare i Barbari piuttosto che renderli parte di sé. I reazionari aristocratici hanno avuto così tanta paura del progresso che alla fine sono stati schiacciati da quest’ultimo. È accaduto a Pompeo. È accaduto a Catone. Ed è accaduto … a Labieno. Così vanno le cose. È una legge. Bisogna sempre andare avanti. Restare aggrappati a ciò che non c’è più è sciocco. E ora, voi, state commettendo lo stesso errore. Vi state aggrappando a qualcosa che non c’è più. È questo quello che volete?"
Sguardi colpevoli stavano circondando Cesare.
"Rispondete! Questo è quello che volete? Volete marcire con il passato o volete cambiare il mondo? Come volete essere ricordati? Come coloro che hanno costruito qualcosa di nuovo e che, coraggiosamente, hanno dato inizio ad una nuova era? Oppure preferite essere ricordati come dei pavidi conformisti troppo spaventati dal futuro per riuscire a rendere Roma migliore?"
"Quindi … vuoi essere re di Roma?" domandò Marco Antonio.
"No. Mai. Non ripeterò gli stessi errori di Silla e non renderò nessuno suddito. Voi sarete liberi e sarete miei complici nella costruzione di un nuovo futuro. Ma non voglio essere l’ennesimo monarca che questo mondo ha conosciuto, io voglio essere Cesare. Allora, cosa avete da dire?"
I soldati si misero in riga ed urlarono all’unisono:
"AVE CESARE!"