Wednesday, February 3, 2021

[ITA] Capitolo 12 : Il prezzo della pace

Pompeo cercò rifugio in Egitto dopo la sconfitta di Farsalo e venne accolto dal suo vassallo, il faraone Tolomeo XIII. Pompeo venne tradito dal faraone e quando Cesare giunse in Egitto si vide portare dall’uomo la testa imbalsamata del suo vecchio amico. La ragazza, vedendo quel tremendo spettacolo, scoppiò in lacrime, non voleva la morte di Pompeo, non l’aveva mai desiderata, il suo desiderio era riconciliarsi con lui per poter pacificare Roma una volta per tutte ma ormai era troppo tardi.
La reazione di Cesare sconvolse non solo il faraone ma anche alcuni dei suoi legati, di fatti si sapeva che in realtà fu la stessa Cesare a chiedere al faraone di mettere fine alla vita di Pompeo, quindi perché ebbe quella reazione?
Cesare era a conoscenza della contesa dinastica fra Tolomeo XIII, che era un anti-Romano, e Cleopatra che invece voleva tenere l’Egitto assieme a Roma. Lei manipolò il giovane Tolomeo per porre fine alla vita di Pompeo ma finse di rattristirsi per avere una scusa per combatterlo e schierarsi con Cleopatra.
Cleopatra aspirava a diventare la padrona assoluta dell’Egitto, aveva in passato tentato di sedurre Pompeo, ma fallì per via della morte di quest’ultimo e così decise di usare le stesse tattiche su Cesare e quando la vide la prima volta quasi si emozionò: era una donna affascinante, in armatura, l’esemplificazione del potere divino, una semidea con capelli argentati e occhi scarlatti. Cesare si stava preparando per affrontare Tolomeo e quando vide Cleopatra, una giovane ragazza dall’encomiabile bellezza e dai movimenti seducenti, rimase senza parole.
"Tu devi essere Gaio Giulio Cesare, ho sentito parlare di te, figlia di Venere."
"Non pensavo di essere così famosa da queste parti."
"Sbagliavi. Una donna con un nome da uomo che ottiene così tanto potere in una società maschilista da diventare dittatrice e conduttrice di eserciti. Su di te girano un sacco di leggende qui in Egitto, alcuni ti vedono come il Messia, perché sei una semidea nelle cui vene scorre il sangue di Venere, dea della bellezza, e di Marte, dio della guerra, la tua anima è perfetta e pura e il tuo corpo non conosce la vecchiaia. Come potresti non essere famosa?"
Cleopatra accarezzò il volto della ragazza e le prese la mano, il suo sguardo seducente cercava uno scorcio nel cuore di Cesare ma, quest’ultima, sembrava essere immune a quegli occhi da ammaliatrice.
"Ho trovato lodevole e coraggioso il fatto che tu abbia rifiutato mio fratello per schierarti a me. Io so perché lo hai fatto, lo capisco."
"Illuminami."
Le labbra carnose di Cleopatra si avvicinarono all’orecchio di Cesare e sussurrarono queste parole:
"Cambiamento."
Cesare sbuffò e si allontanò dalla bella regina Egiziana.
"E cosa ne sai tu?"
"Per troppo tempo le leggi del mondo sono state scritti da uomini avidi, egoisti e privi di lungimiranza e per tutto questo tempo noi non abbiamo fatto altro che assistere in silenzio, chinando il capo, e accettando il loro odio e il loro disprezzo per noi. Ma è ora di cambiare le cose. Ora il mondo dovrà passare in mano alle donne, tu ed io, due donne che governano le maggiori potenze del mondo, scriveremo la storia. Saremo due regine e domineremo su ogni cosa."
"Beh, vedo che ti piace toccare i miei punti deboli, tuttavia …" Cesare prese Cleopatra per il braccio e la mise al muro. "Non sono proprio il tipo di donna che si fa manipolare. Cosa vuoi da me?"
"E tu cosa vuoi da me?" domandò lei sorridendo.
"Voglio che tu assuma il potere qui in Egitto per porre fine ai conflitti, una volta che avrai fatto ciò ufficialmente avrò messo fine a questa stupida ed inutile guerra civile."
"Voglio un’alleanza tra Roma e l’Egitto, un’alleanza eterna che ci renderà entrambe potenti e temute. Non possiamo resistere se separate … ma insieme nessuno oserà ostacolarci."
"Così sia."
Cleopatra prese il capo di Cesare, lo avvicinò a sé e la baciò sulle labbra. Quando Cesare sentì la lingua di Cleopatra in bocca capì subito che quello che la donna cercava non era un amore sincero, ma solo lussuria. Bastò quel gesto per palesare la relazione che ci sarebbe stata fra le due donne.
Cesare non si sentiva veramente innamorata, tuttavia la relazione fra le due non fu ben accolta dalla popolazione di Alessandria d’Egitto; l’alleanza delle due donne avrebbe minato l’indipendenza dell’intero paese  e così iniziarono a scoppiare dei moti di rivolta.
Cesare fu costretta a chiudersi nel palazzo reale insieme a Cleopatra. Con pochi soldati a disposizione fece erigere delle fortificazioni per resistere all’assedio nemico. Durante la permanenza forzata, Cesare e Cleopatra, ebbero modo di legarsi sempre di più e, si dice, che per benedizione divina, Cleopatra, venne messa incinta e con una immacolata concezione mise al mondo Cesarione. La cosa lasciò Cesare di stucco ma allo stesso tempo la spaventò, perché quell’intervento divino doveva avere un significato e lei temeva che le divinità volessero forzarla a restare ad Alessandria e a rinunciare al dominio su Roma.
In un certo senso Cesarione fu la causa di un allontanamento delle due donne, non a livello politico ma su un piano puramente sentimentale.
Intanto Cesare tentò più volte di rompere l’assedio nemico ma senza successo. Soltanto dopo molti mesi arrivarono i rinforzi Romani che consentirono alla ragazza di rispondere alle rivolte.
Molti pompeiani si schierarono con Catone, il quale non cessò di ostacolare Cesare durante tutta la durata della guerra civile. Durante la pacificazione di Alessandria d’Egitto non mancò l’aiuto di alcune tribù locali che si schierarono con Cesare, di grande aiuto fu l’intervento di Ircano II e degli Ebrei che sostennero l’esercito della ragazza; essi aiutarono a pacificare tutto l’Oriente. Cesare fu riconoscente di questo e ordinò che Ircano fosse riconosciuto come padrone della Giudea e che i Romani cessassero di mandare legioni nel territorio.
La voce si diffuse in tutto il Medio Oriente: ‘Cesare è amica degli Ebrei’. Alcuni festeggiarono, altri di meno. La scelta di Cesare di non invadere la Giudea non fu accolta con entusiasmo dal Senato; molti uomini d’affari si arricchivano grazie alle tasse imposte agli Ebrei, l’aristocrazia vide la mossa di Cesare come l’ennesimo affronto alla tradizione Romana.

46 a.C.

Cesare giunse a Tapso per porre fine anche alla resistenza delle forze alleate a Catone. Il potente sovrano di Tapso, Giuba I, detestava Cesare e non aveva intenzione di lasciare che una donna prendesse il potere. La città di Tapso era famosa per le sue grandi mura e così la ragazza fece costruire delle trincee per circondare la città e vicino a queste costruì il suo accampamento.
Per giungere in soccorso di Giuba, Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica, condusse un enorme esercito formato da validi legionari Romani e anche da imponenti elefanti addestrati. Cesare sapeva che affrontare degli elefanti era molto rischioso e molti dei suoi fanti morirono a causa della carica di quelle immense bestie, tuttavia la ragazza sapeva come spaventare i pachidermi. Cesare aveva fatto costruire enormi trombe e le fece suonare con talmente tanta forza da spaventare gli elefanti; i grossi animali si ritirarono e uccisero parte dei soldati di Metello Scipione.
Con l’uso di arcieri e di frombolieri, le legioni di Cesare furono in grado di eliminare alcuni elefanti e poi giunse il momento della cavalleria. Un buon cavallo da guerra era capace di percorrere lunghe distanze in brevissimo tempo, e i cavalli di Cesare erano i migliori. La cavalleria non ebbe problemi a raggiungere i legionari avversari e, con estrema velocità, gli avversari vennero sconfitti e molti si ritirarono.
Durante le ultime fasi della battaglia, un legionario vide Cesare scendere da cavallo e dare il comando ad un suo luogotenente per un po’, una cosa insolita per tutti i presenti ma il luogotenente accettò e partì con la cavalleria per dare il colpo di grazia. Cesare si allontanò dal cavallo e il legionario notò subito che il modo di muoversi della ragazza era insolito, pareva essere sul punto di cadere.
"Cesare!"
Il legionario seguì la ragazza temendo che lei fosse stata ferita gravemente. La seguì fin dentro l’accampamento e allora la vide accasciarsi sul terreno ed avere dei tremori. Lui si spaventò. Egli conosceva le storie sul morbo sacro ma non l’aveva visto. Egli entrò nella tenda e prese dell’acqua e anche un panno.
"Andrà tutto bene."
Quando la crisi epilettica giunse al termine, Cesare si accorse di essere stata vista da un soldato e con un modo di fare imbarazzato disse:
"Tu non hai visto niente. Nessuno dovrà saperlo."
"Hai bisogno di acqua?"
"Sì, grazie."
Bevve un sorso d’acqua e restituì il bicchiere all’uomo. Il legionario aiutò Cesare a rialzarsi.
"Grazie."
"Ti ha fatto male?" domandò lui.
"Mi da fastidio, ma non ti devi preoccupare per me. Ora dobbiamo solo porre fine a questa battaglia."
Cesare aveva lo sguardo stanco ed era sudata.
In quel momento entrò un messaggero che esclamò:
"Ho un messaggio da Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica: accetta la resa. Non ha più intenzione di combattere."
Il legionario tirò un sospiro di sollievo, tuttavia quando vide lo sguardo iracondo di Cesare si preoccupò. La ragazza era diventata ben nota per la grazia che concedeva ai suoi nemici, ma questa volta sembrava avere in mente qualcosa di diverso.
"Mi prendi in giro?!" esclamò lei, infuriata.
Silenzio. Lo stupore indescrivibile negli occhi di tutti e due gli uomini.
"Quel figlio di un cagna ha ucciso i miei soldati, ha usato dei maledetti elefanti per farci a pezzi, e si arrende come se niente fosse? Quanti soldati ha?"
"Diecimila."
"Elefanti?"
"Ancora sessanta."
"Sono addestrati da loro?"
"Sì."
"Allora uccideteli tutti. Lasciate liberi gli elefanti e ammazzate tutti quei traditori."
Il legionario, scioccato da quell’ordine, disse:
"Ma si sono arresi."
"No, non si sono arresi. Stanno solo temporeggiando. Con diecimila uomini e sessanta elefanti possono ancora continuare a combattere. In più hanno Catone che è nascosto da qualche parte con quarantamila legionari. Non ho intenzione di fidarmi di loro. Non voglio rischiare …"
Il legionario notò che la mano di Cesare stava ancora tremando.
"Uccideteli. Tutti."
Con la morte di Metello Scipione, Cesare poté riprendere l’assedio di Tapso. Con la caduta della città, la ragazza ordinò che il re venisse giustiziato, ma quest’ultimo riuscì a scappare assieme all’ultimo superstite Romano che aveva combattuto contro Cesare in quella sanguinosa battaglia: Marco Petreio. Entrambi morirono poco tempo dopo.
La vittoria nella battaglia di Tapso consentì a Cesare di partire verso Utica per incontrare Catone. I legionari che avevano seguito l’uomo decisero di arrendersi a Cesare senza neanche combattere, e la ragazza ordinò che Catone venisse catturato e condotto da lei.
Quando l’uomo venne portato nella tenda di Cesare venne slegato per ordine di lei.
"Dunque?" domandò lui con uno sguardo colmo di disprezzo. "Non mi uccidi?"
"Dovrei?" Cesare si accomodò e si versò del vino in una coppa.
"Dovresti. Io sono un uomo pericoloso, Cesare, non mi inchinerò mai al tuo cospetto e non ti lascerò rovinare la splendida Repubblica che ha reso Roma potente."
"Splendida? Per te. Sei un privilegiato, Catone, lo sei sempre stato. Le persone ti trattano come un uomo di virtù ma io ti conosco, io so chi sei. Sei un comune aristocratico, non sei nulla di speciale. Come tutti gli aristocratici mi hai sempre trattata come una creatura inferiore, mi hai sempre disprezzata e mi hai sempre insultata. E ti concedo questo, Catone, sei sempre stato due passi più avanti di me in filosofia, tuttavia io sono sempre stata dieci passi più avanti di te in politica. E questa è la prova."
"Sì, è la prova che io avevo ragione: sei come Silla. Brami solo il potere."
"Ti sbagli, non sono come Silla. Non voglio emulare quell’uomo. Sei tu che vedi in me la stessa cosa, ma io non sono lui. Il potere non lo desidero per me, ma per Roma. Roma ha bisogno di me, ha bisogno di cambiare, ha bisogno di modernizzarsi, ed io darò a Roma tutto ciò di cui ha bisogno. E cosa ne sarà di te, Catone? Sarai solo una macchietta. Un ricordo di un passato che non esiste più."
"Allora fallo. Uccidimi."
"No" rispose lei, appoggiando il bicchiere. "Non sono Silla. Non ho intenzione di ucciderti. Lui l’avrebbe fatto, io non lo farò. Non voglio uccidere i miei nemici, voglio perdonarli, voglio potermi fidare di loro. Voglio darti una seconda possibilità. Io ti concederò la mia grazia e torneremo a Roma come alleati, come amici, e così porremmo fine a questa ridicola guerra civile. Cosa ne pensi?"
Catone rimase in silenzio. Sorrise. Scoppiò una risata. Quell’uomo si mise a ridere come se avesse appena sentito una barzelletta. Rise così tanto da avere le lacrime agli occhi. Quando smise, ci mise un po’ a recuperare il respiro e poi, con quel sorriso ancora impresso nel volto, rispose:
"Tu sei pazza. Tu sei pazza e mi manchi di rispetto. Non ho intenzione di sottomettermi a te. Non ho intenzione di accettare la tua grazia. Non me ne faccio niente della grazia di una donna che vuole distruggere i valori di Roma." Prese fuori un pugnale dalla sua toga. Cesare temette per la sua vita ma l’uomo puntò l’arma verso sé stesso. "Preferirei morire piuttosto che sottomettermi a te."
Con queste parole egli si pugnalò al fianco e con forza si tagliò la pancia. Cadde a terra lasciando un getto di sangue.
Cesare non si era mossa. Aveva la faccia sporca del sangue del suo rivale. Il suo volto era rimasto pacato, quasi indifferente. La ragazza si alzò, guardò quel corpo esanime, e proferì queste ultime parole:
"Catone … provo solo rancore per la tua morte, perché mi hai tolto la possibilità di salvarti la vita. Ma lo rispetto. Ma non lascerò che il tuo martirio sproni altri come te."