Marco Tullio Cicerone. Un uomo ben noto a Roma per le sue encomiabili capacità oratorie e per il suo amore, un po’ altalenante, nei confronti della Repubblica. Tutti conoscono, soprattutto, le sue idee concernenti la sessualità e, in particolar modo, la pudicizia. Egli è l’uomo che, dopotutto, suggerisce agli uomini di tenersi la loro carota sotto la toga e, soprattutto, condanna chi parla di carote a tavola; tuttavia le belle donne possono, secondo lui, esibire la nudità.
Cicerone ha sempre difeso questo doppio standard definendolo ‘etico’ e ovviamente amici come Tito Pomponio Attico lo guardavano come si potrebbe guardare un idiota. Ma Cicerone non si è mai lasciato intimidire dalle critiche giacché ha sempre creduto che la propria reputazione a Roma non sarebbe mai stata minacciata in nessun modo.
Cicerone ha sempre difeso questo doppio standard definendolo ‘etico’ e ovviamente amici come Tito Pomponio Attico lo guardavano come si potrebbe guardare un idiota. Ma Cicerone non si è mai lasciato intimidire dalle critiche giacché ha sempre creduto che la propria reputazione a Roma non sarebbe mai stata minacciata in nessun modo.
Questo almeno fino a quando …
“Dove è finito quel maledetto libro?!” esclamò Cicerone cercando fra i mobili di casa sua. “Eppure mi sembrava di averlo lasciato qui, per le palle di Romolo!”
In quel momento bussò alla porta di casa Gaio Licinio Verre, che Cicerone si stava preparando ad affrontare in tribunale, e quando vide l’avvocato Cicerone bagnato dal sudore gli domandò:
“Stai bene, Cicerone? Mi sembri … accaldato.”
“Verre!” Cicerone si allontanò di qualche passo da lui. “Molto meglio. Questa distanza è ottimale.” Si rivolse a lui. “Cosa vuoi, vecchia lumaca marcia?”
“In realtà ero qui per portarti un messaggio da parte del mio avvocato, Quinto Ortensio Ortalo. Lui ti dice che ti stracceremo e che non riuscirai mai a farmi sborsare una sola moneta per quelle belle concussioni che non ho fatto!”
Cicerone rimase intontito per un istante. Inarcò le sopracciglia e poi aprì bocca:
“Ma certo … certamente … sì … sì!” Aggiunse solenne: “Ma certo! Non farmi perdere tempo con le tue stoltezze! Preparati per il processo in tribunale e lasciami cercare il mio libro!”
Cicerone riprese a setacciare la casa lanciando a destra e a sinistra vasellame, abiti e statuette.
“Mm … cosa stai cercando esattamente?” domandò Verre incuriosito.
“Un libro che avevo lasciato nella mia scrivania, in un cassetto. Qualcuno (tu o Ortalo indubbiamente) ha sogguardato in quel maledetto cassetto e ha rubato quel maledetto libro.”
“Di che cosa trattava quel libro?”
“Era un libro di …” Si fermò. Si girò verso Verre e, indignato, esclamò: “Ma certo, è ovvio! Vuoi che io lo dica ad alta voce! Hai razziato la mia scrivania e adesso vuoi umiliarmi pubblicamente inducendomi a dire, ad alta voce, il nome di quel libro. N’è vero, deforme lestofante puzzone?”
Verre spalancò la bocca dall’incredulità.
“Ma guardati, hai la faccia di Crasso quando ha scoperto che Pompeo si era fottuto i meriti per la sconfitta di Spartaco!” Fece una pausa. Indicò Verre e proferì: “Parla, dunque, criminale! Dove hai nascosto quel libro!”
“Cicerone, ti giuro che non so di che cosa stai parlando. Io non ho preso nessun libro” fece Verre alzando le mani.
“Ah!” esclamò teatrale. “Nascondi un ghigno rivoltante sotto quegli umidi baffi sporchi di forfora! Dimmi tutto, vecchia zappa, altrimenti ti sfiderò a duello!”
“Duello?!”
“Esatto! Credi che un uomo della mia levatura sociale non possa duellare! Ah, ah! Io rido della tua imbecillità!”
“Ma … Cicerone …”
“Verre!” esclamò a voce alta. “Consegnami immediatamente quel libro!”
“Tu sei completamente pazzo, Cicerone.”
Verre disse queste parole abbandonando la casa dell’uomo.
“Corri, traditore. Fuggi da me, ladro vigliacco. Tanto non potrai scapparmi in eterno. Ti porterò alla croce per questo gesto!”
Cicerone riprese la ricerca.
Qualche ora dopo passò Quinto Ortensio Ortalo, il quale aveva saputo da Verre che Cicerone era completamente impazzito. L’uomo si appostò davanti alla porta di casa del rivale ma non ebbe il tempo di bussare che sentì Cicerone urlare:
“Che Venere venga schiaffeggiata in quella faccia da topaccia!”
Ortalo diede un calcio alla porta e rimproverò con il dito alzato:
“Sciacquati la bocca, Cicerone! Questa città non tollera un simile linguaggio.”
Cicerone guardò Ortalo con due occhi sbarrati. Si avvicinò a lui e gli afferrò le spalle e gli sussurrò all’orecchio:
“Baciami le palle, vecchio. Lo so che sei stato a rubarmi il libro.”
“Libro? Quale libro?”
Cicerone, quindi, esclamò solennemente:
“Ora tiralo fuori, traditore! Altrimenti io, il miglior avvocato di Roma, ti farò esiliare da questa città!”
“Sei solo un mediocre oratore, non montarti la testa.” Guardò il pessimo stato dell’abitazione. “Ma che cosa hai combinato, Cicerone? Che bisogno c’era di fare questo casino a casa tua? Lo hai fatto per cercare un libro?”
“Non è ovvio?”
“Sì, ma … che libro è? È davvero così importante?”
Cicerone inarcò le sopracciglia e, afferrando una sedia, la puntò verso Ortalo come se fosse una spada.
“Ma certo!” esclamò. “Ora mi è tutto chiaro, avevo ragione io! Sei in combutta con Verre! Vuoi umiliarmi!”
“Ci-Cicerone … calmati. Che cazzo stai dicendo?”
Egli ignorò Ortalo e proseguì:
“No, peggio! Molto peggio! Tu vuoi spodestarmi! Tu vuoi la corona dell’avvocato solo per vantarti dinnanzi al Senato. Tu vuoi quell’influenza per aprire le porte ai Galli, le galline, i Germani, i Britanni, i Romani d’Africa e i Cinesi!”
“Cicerone, io non credo di poter fare una cosa del-”
“Ma non riuscirai mai a sconfiggermi!” interruppe l’uomo. “Io sono troppo intelligente, hai capito? Io sono una mente sopraffina! Il mio intelletto può doppiare il tuo in ogni cosa: dalla matematica alla poesia.” Poi soggiunse, con uno sguardo di finta compassione: “Ma guardati: il tempo ti sta divorando. Stai decadendo. Stai perdendo i peli come un leone senza branco. Sei un debole vecchio senza nessuno scopo. È ovvio che stai cercando di spodestare un giovane leone come me!”
Ortalo sospirò.
“Come immaginavo,” esordì Cicerone vittorioso “non hai alcuna difesa.”
“Non ho tempo per subirmi la tua paranoia fuori controllo. Ho di meglio da fare, Cicerone.”
“Non hai nulla da fare! Tu sei il nulla!”
“Scusami, Cicerone, devo prepararmi per difendere Verre in tribunale. Ti lascio alla tua tristezza …” aggiunse, andandosene: “… e alla tua triste vita.”
“Tristezza? Io non so cosa sia la tristezza! Ah, ah! Io me la rido! Rido della tua imbecillità, cacca secca!”
Cicerone proseguì nella sua disperata ricerca del libro ma senza nessun successo.
Quella notte, la moglie di Cicerone, Terenzia, tornò a casa dopo aver passato del tempo con alcune sue amiche. Quando la donna vide suo marito fuori dalla porta di casa con una torcia in mano, gli domandò:
“Che stai facendo con quella?”
Lui la guardò con gli occhi spalancati ed esclamò:
“Non lo vedi? Sto attuando la mia vendetta. Se non posso trovare il mio libro allora non ha più senso vivere a Roma. Priverò questa città della mia presenza e andrò a vivere a Rodi con te, mia amata.”
“Va bene …” disse sospirando. “Potresti spiegarmi il senso di questo tuo … ehm … piano?”
“Io sono il padrone di casa e posso fare tutto ciò che voglio con casa mia. Se io voglio, posso anche distruggere casa mia per cambiare vita e mandare a quel paese questa città e i suoi abitanti con le carote al vento!”
“Cicerone, tre cose …” Terenzia si mise davanti all’uomo. “Uno: sei pazzo e dovresti farti ricoverare. Due: questa casa è mia, non tua, e se tu la bruci ti spennerò per fartela ripagare. Tre: ce l’ho io quel tuo stupido libretto da femminucce.”
Cicerone lasciò cadere la torcia dallo shock.
“Spiegati, donna. Come hai osato profanare la mia scrivania? La scrivania del tuo sovrano?”
“Scusa, sovrano” iniziò lei sarcastica “l’ho fatto solo per conoscere meglio alcuni dei tuoi gusti, tutto qui.”
“Le persone normali parlano.”
“Le persone normali non sono sposate con te.”
“Quindi è per questo che hai sfogliato il mio onesto romanzo pornografico, donna?” investigò girando attorno a lei.
“Sì, ma alla fine non ne è valsa la pena. Neanche lontanamente” disse lei delusa.
“Perché mai dici queste cose?”
“Perché non c’è niente di interessante lì dentro.”
“Lo dici perché non te ne intendi” fece lui altezzoso.
“Davvero? Ho letto quell roba due volte e non c’è neanche una scena di sesso. È questo quello che tu chiami ‘pornografia’? Se ti basta questo ad eccitarti, l’unico modo che ho per sedurti è toccarti la spalla. Il 99,9% di Roma ti prenderebbe per il culo se sapesse che a te piace questa roba.”
“Mm … bene.” Fece una breve pausa. “Dal momento che ti piace fare elenchi numerati, beccati il mio.” Due colpi di tosse e iniziò: “Uno: non sbirciare mai più fra le mie cose, maledetta eretica. Due: l’erotismo è soggettivo. Tre: il 99,9% ha sempre sbagliato.” Poi aggiunse: “Comunque, vorrei ricordarti che per una mente come la mia il sesso è roba priva di valore. Ciò che conta è il pensiero e non l’atto in sé.”
“Ceeeeeeeeeeeerto!” esclamò Terenzia incredula. “Il primo giorno da sposati non mi hai detto così. Mi sembrava più simile ad un: ‘Mm, Terenzia, non smettere di leccarlo’.”
Cicerone la guardò in silenzio. Aprì la porta di casa. Si voltò verso di lei. Disse con tono offeso:
“Impudente.”
“Ipocrita” rispose lei.
Quando poi Cicerone, però, domandò dove Terenzia avesse nascosto il libro lei gli disse semplicemente che l’aveva prestato ad un’amica.
Cicerone non poteva sapere che quell’amica era Gaio Giulio Cesare, la quale passò tutta la notte a ridere del caro avvocato.
“Ah!” esclamò teatrale. “Nascondi un ghigno rivoltante sotto quegli umidi baffi sporchi di forfora! Dimmi tutto, vecchia zappa, altrimenti ti sfiderò a duello!”
“Duello?!”
“Esatto! Credi che un uomo della mia levatura sociale non possa duellare! Ah, ah! Io rido della tua imbecillità!”
“Ma … Cicerone …”
“Verre!” esclamò a voce alta. “Consegnami immediatamente quel libro!”
“Tu sei completamente pazzo, Cicerone.”
Verre disse queste parole abbandonando la casa dell’uomo.
“Corri, traditore. Fuggi da me, ladro vigliacco. Tanto non potrai scapparmi in eterno. Ti porterò alla croce per questo gesto!”
Cicerone riprese la ricerca.
Qualche ora dopo passò Quinto Ortensio Ortalo, il quale aveva saputo da Verre che Cicerone era completamente impazzito. L’uomo si appostò davanti alla porta di casa del rivale ma non ebbe il tempo di bussare che sentì Cicerone urlare:
“Che Venere venga schiaffeggiata in quella faccia da topaccia!”
Ortalo diede un calcio alla porta e rimproverò con il dito alzato:
“Sciacquati la bocca, Cicerone! Questa città non tollera un simile linguaggio.”
Cicerone guardò Ortalo con due occhi sbarrati. Si avvicinò a lui e gli afferrò le spalle e gli sussurrò all’orecchio:
“Baciami le palle, vecchio. Lo so che sei stato a rubarmi il libro.”
“Libro? Quale libro?”
Cicerone, quindi, esclamò solennemente:
“Ora tiralo fuori, traditore! Altrimenti io, il miglior avvocato di Roma, ti farò esiliare da questa città!”
“Sei solo un mediocre oratore, non montarti la testa.” Guardò il pessimo stato dell’abitazione. “Ma che cosa hai combinato, Cicerone? Che bisogno c’era di fare questo casino a casa tua? Lo hai fatto per cercare un libro?”
“Non è ovvio?”
“Sì, ma … che libro è? È davvero così importante?”
Cicerone inarcò le sopracciglia e, afferrando una sedia, la puntò verso Ortalo come se fosse una spada.
“Ma certo!” esclamò. “Ora mi è tutto chiaro, avevo ragione io! Sei in combutta con Verre! Vuoi umiliarmi!”
“Ci-Cicerone … calmati. Che cazzo stai dicendo?”
Egli ignorò Ortalo e proseguì:
“No, peggio! Molto peggio! Tu vuoi spodestarmi! Tu vuoi la corona dell’avvocato solo per vantarti dinnanzi al Senato. Tu vuoi quell’influenza per aprire le porte ai Galli, le galline, i Germani, i Britanni, i Romani d’Africa e i Cinesi!”
“Cicerone, io non credo di poter fare una cosa del-”
“Ma non riuscirai mai a sconfiggermi!” interruppe l’uomo. “Io sono troppo intelligente, hai capito? Io sono una mente sopraffina! Il mio intelletto può doppiare il tuo in ogni cosa: dalla matematica alla poesia.” Poi soggiunse, con uno sguardo di finta compassione: “Ma guardati: il tempo ti sta divorando. Stai decadendo. Stai perdendo i peli come un leone senza branco. Sei un debole vecchio senza nessuno scopo. È ovvio che stai cercando di spodestare un giovane leone come me!”
Ortalo sospirò.
“Come immaginavo,” esordì Cicerone vittorioso “non hai alcuna difesa.”
“Non ho tempo per subirmi la tua paranoia fuori controllo. Ho di meglio da fare, Cicerone.”
“Non hai nulla da fare! Tu sei il nulla!”
“Scusami, Cicerone, devo prepararmi per difendere Verre in tribunale. Ti lascio alla tua tristezza …” aggiunse, andandosene: “… e alla tua triste vita.”
“Tristezza? Io non so cosa sia la tristezza! Ah, ah! Io me la rido! Rido della tua imbecillità, cacca secca!”
Cicerone proseguì nella sua disperata ricerca del libro ma senza nessun successo.
Quella notte, la moglie di Cicerone, Terenzia, tornò a casa dopo aver passato del tempo con alcune sue amiche. Quando la donna vide suo marito fuori dalla porta di casa con una torcia in mano, gli domandò:
“Che stai facendo con quella?”
Lui la guardò con gli occhi spalancati ed esclamò:
“Non lo vedi? Sto attuando la mia vendetta. Se non posso trovare il mio libro allora non ha più senso vivere a Roma. Priverò questa città della mia presenza e andrò a vivere a Rodi con te, mia amata.”
“Va bene …” disse sospirando. “Potresti spiegarmi il senso di questo tuo … ehm … piano?”
“Io sono il padrone di casa e posso fare tutto ciò che voglio con casa mia. Se io voglio, posso anche distruggere casa mia per cambiare vita e mandare a quel paese questa città e i suoi abitanti con le carote al vento!”
“Cicerone, tre cose …” Terenzia si mise davanti all’uomo. “Uno: sei pazzo e dovresti farti ricoverare. Due: questa casa è mia, non tua, e se tu la bruci ti spennerò per fartela ripagare. Tre: ce l’ho io quel tuo stupido libretto da femminucce.”
Cicerone lasciò cadere la torcia dallo shock.
“Spiegati, donna. Come hai osato profanare la mia scrivania? La scrivania del tuo sovrano?”
“Scusa, sovrano” iniziò lei sarcastica “l’ho fatto solo per conoscere meglio alcuni dei tuoi gusti, tutto qui.”
“Le persone normali parlano.”
“Le persone normali non sono sposate con te.”
“Quindi è per questo che hai sfogliato il mio onesto romanzo pornografico, donna?” investigò girando attorno a lei.
“Sì, ma alla fine non ne è valsa la pena. Neanche lontanamente” disse lei delusa.
“Perché mai dici queste cose?”
“Perché non c’è niente di interessante lì dentro.”
“Lo dici perché non te ne intendi” fece lui altezzoso.
“Davvero? Ho letto quell roba due volte e non c’è neanche una scena di sesso. È questo quello che tu chiami ‘pornografia’? Se ti basta questo ad eccitarti, l’unico modo che ho per sedurti è toccarti la spalla. Il 99,9% di Roma ti prenderebbe per il culo se sapesse che a te piace questa roba.”
“Mm … bene.” Fece una breve pausa. “Dal momento che ti piace fare elenchi numerati, beccati il mio.” Due colpi di tosse e iniziò: “Uno: non sbirciare mai più fra le mie cose, maledetta eretica. Due: l’erotismo è soggettivo. Tre: il 99,9% ha sempre sbagliato.” Poi aggiunse: “Comunque, vorrei ricordarti che per una mente come la mia il sesso è roba priva di valore. Ciò che conta è il pensiero e non l’atto in sé.”
“Ceeeeeeeeeeeerto!” esclamò Terenzia incredula. “Il primo giorno da sposati non mi hai detto così. Mi sembrava più simile ad un: ‘Mm, Terenzia, non smettere di leccarlo’.”
Cicerone la guardò in silenzio. Aprì la porta di casa. Si voltò verso di lei. Disse con tono offeso:
“Impudente.”
“Ipocrita” rispose lei.
Quando poi Cicerone, però, domandò dove Terenzia avesse nascosto il libro lei gli disse semplicemente che l’aveva prestato ad un’amica.
Cicerone non poteva sapere che quell’amica era Gaio Giulio Cesare, la quale passò tutta la notte a ridere del caro avvocato.