lunedì 19 aprile 2021

[ITA] Capitolo 6 : Adocentyn

Alessandro aprì gli occhi. Era sdraiato su una strada di pietra ricoperta da un sottile strato di sabbia. Si alzò a fatica e la prima cosa che notò, guardandosi attorno, erano i diversi edifici bassi con tetto piatto, tipici dell’Antico Egitto. Fra un’abitazione ed un’altra c’era un stretto spazio, largo circa un metro, e non si sentiva neanche un rumore. Era buio, il cielo era stellato e all’orizzonte si poteva vedere una gigantesca torre alta almeno una centinaia di metri, dalla forma pareva un gigantesco obelisco.
Il ragazzo bussò ad una porta. Nessuno rispose. Spinse la porta e questa si aprì e allora, Alessandro, si accorse che la casa era vuota. Tentò la stessa cosa con altre dieci abitazioni. Stesso risultato. Poi si ricordò: non era da solo. Una tempesta di agitazione percorse il suo corpo e gridò:
“Ina! Ina dove sei? Ina!”
Corse lungo la strada fino a raggiungere quelle che sembravano essere le mura della città. Passò sotto l’arco e percorse un breve tratto di deserto fino ad un burrone. Si tirò indietro immediatamente, spaventato.
“Dove sono finito?”
Si avvicinò all’orlo di quel precipizio, guardò in basso e vide una gigantesca voragine a circa mille metri da lui.
“Scusami, dove siamo?” domandò Ina.
Alessandro si voltò e vide la ragazza a pochi passi da lui che stava fissando in basso.
“Non lo so. Stai bene?”
“Io sì. Tu?”
“Sì, sto bene.” Alessandro rivolse il suo sguardo verso la città di fattezze antiche. “Mi piacerebbe sapere dove siamo finiti, però.”
“Tu cosa deduci?”
“Be’ … si capisce che questa città è stata sollevata in aria con la magia. Probabilmente si trovava sotto la sabbia, inizialmente.”
“Ma che posto è?”
“Non ne ho idea.” Alessandro si avvicinò all’entrata della città insieme a Ina e lì notò una tavola di pietra ricoperta di sabbia. “Cosa abbiamo qui?” Pulì la tavola. C’erano dei geroglifici. Sotto c’erano delle scritte in greco e in latino. “Qui c’è scritto: ‘Benvenuti viaggiatori nella città che riflette la perfezione celeste sulla terra dei mortali. Non troverete in codesta città né fame né malattie e la vostra esistenza sarà beata come quella dei divini’. Ora capisco.”
“Scusami, io non ho capito. È una sorta di … Paradiso Terrestre?”
“Al-Ašmūnain” rispose Alessandro.
“Cosa?”
“Questa è la leggendaria Adocentyn. La Città del Sole. Non dovrebbe esistere eppure eccola qui, dinnanzi a noi, la città delle stelle. L’esempio più perfetto di unione fra urbanistica e magia.”
“Chi l’ha costruita?”
“Gli Arabi di Harrā’n erano maghi molto potenti, rispettati in tutto il mondo. Fu uno di loro a scrivere il Picatrix nel quale si parla di Termaximus, ovvero il ‘tre volte grande’, noto in Egitto con il nome di Hermes Triplex e poi, nel XIII secolo, come Hermes Mercurius Triplex … Ermete Trismegisto. La sua esistenza venne etichettata da molti studiosi di magia come fittizia.”
“Come mai?”
“Perché secondo i sapienti del Rinascimento, Ermete Trismegisto fu l’inventore di tutte le arti magiche del Medio Oriente e dell’Occidente. Parliamo di un mago molto più potente di tutti i maghi dell’Antica Grecia e dell’Antica Roma e dell’Antica Persia. Un mago così potente da superare Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Merlino insieme. Un mago talmente forte da essere considerato il più grande maestro delle arti sacre e delle arti demoniache. Lodato e condannato allo stesso tempo. Un essere del genere non poteva che essere frutto dell’immaginazione umana. Eppure eccoci qui.” Fece una pausa. “Siamo davanti alla sua opera più grande. Questa è la magnifica Adocentyn.”
“Ma non è una cosa positiva, vero?” domandò lei ansiosa.
“No. Non lo è. Siamo palesemente stati trascinati qui dentro per combattere una guerra, non per ammirare lo splendore dell’Antico Egitto.”
“Quindi, ora che facciamo? Scappiamo?”
Alessandro si voltò. Raccolse un sasso da terra e lo lanciò oltre il burrone. La pietra rimbalzò emettendo un suono grave.
“Come immaginavo. Siamo intrappolati qui dentro. C’è una barriera magica che ci impedisce di uscire. Siamo costretti a combattere, in altre parole.” Alessandro notò che Ina stava tremando. Si avvicinò a lei e la abbracciò. “Mi dispiace che tu sia finita qui. Ti prometto che non ti accadrà niente di brutto.”
“Ma che cosa ci facciamo qui?” domandò lei debolmente.
“Siamo costretti a combattere una guerra” rispose serio. “Io ti proteggerò. È colpa mia se sei stata coinvolta in tutto questo. Sei una mia responsabilità e non ti lascerò morire qui.”
Alessandro e Ina entrarono nella città. Il ragazzo aveva ancora con sé il suo zaino con la reliquia e i libri magici, ma non aveva ancora intenzione di evocare Cesare. Ina, allora, disse, a voce bassa:
“Scusa, c’è qualcosa che dovresti vedere.”
“Mm? Cosa?” Alessandro vide che sul muro di un’abitazione c’erano incisi il suo nome e quello di Ina. “Cos’è questa roba? È opera di Vergil?”
“Lo conosci?” domandò lei.
“No. Ma so cos’è.” Alessandro aprì la porta di legno e vide un tavolo con delle sedie, c’erano anche delle casse in legno di diverse dimensioni e un piede di porco sul pavimento. “Strano. Davvero strano. Dobbiamo essere cauti.”
“Sì, ma … cosa significa? Sono delle provviste, forse?”
“Non è così che funziona una Guerra del Santo Graal.” Alessandro prese il piede di porco. “Sarà meglio controllare.”
Alessandro aprì le casse una ad una e insieme a Ina le ispezionò.
“Avevi ragione, Ina … sono provviste.”
“Gra-Grazie” fece lei arrossendo.
Le principali cibarie erano frutta, verdura, pane e derivati del pane. L’unica bevanda era l’acqua. In una cassa trovò diversi libri di storia e anche il Picatrix.
“Pezzo di merda, lo sapevo” commentò Alessandro. “Questa è davvero la fottuta Adocentyn. Ma come è riuscita a trovarla?”
In un’altra cassa trovò invece due reliquie: una moneta sulla quale era raffigurato il volto di Giulio Cesare e un frammento di un bassorilievo dove si intravedeva l’incoronazione di un uomo. Alessandro prese la moneta e sotto vide un bigliettino con su scritto ‘Così non devi usare la tua reliquia, vero?’; il ragazzo sbuffò innervosito.
“No! Come?” esclamò Ina, spaventata.
“Tutto bene?” Alessandro si avvicinò e vide dei vestiti dentro una cassa. “Tranquilla, quel matto li avrà comprati per te.”
“No, ti sbagli. Sono i miei.”
“Cosa?!”
“Sono i miei. Sono i miei vestiti. Ne sono certa! È entrato in casa mia. È entrato nella mia camera!” esclamò Ina terrorizzata.
Alessandro notò un qualcosa di bianco fra quegli abiti. Spostò il vestiario e scoprì un biglietto. C’era scritto ‘Non ti preoccupare, dolce Ina, ci ho pensato io a tua zia’ alla fine era stata disegnata una faccina sorridente.
“Merda! Figlio di puttana!” affermò il ragazzo infuriato.
“Cosa? Cos’ha fatto?”
Lui non rispose. Guardò Ina e poi il biglietto.
“Mi dispiace” disse con una voce strangolata.
“Perché? Cosa ha fatto?”
“Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace davvero … non avrei mai dovuto coinvolgerti.”
“Cos’è successo?”
“Credo che lui abbia … ucciso … tua zia.”
“No … no, stai mentendo. Non può averlo fatto! Non può!” Iniziò a piangere, si tolse gli occhiali. “Perché lo ha fatto? Cosa aveva fatto di male mia zia? Non aveva fatto niente … non aveva nulla a che fare con tutto questo … perché avrebbe dovuto …?”
“Io … non lo so.” Alessandro si girò solo per un attimo e allora vide quella cassa. Era più piccola delle altre. Chiuse gli occhi. Strinse i pugni e si morse le labbra. “Scusami.”
Senza aggiungere un’altra parola prese subito quella cassa ed uscì dall’abitazione di corsa. Fuori dalla città lasciò cadere la scatola di legno nella sabbia, prese un sasso e con colpi decisi ma frettolosi aprì una fessura abbastanza larga da poter vedere il contenuto. Uscì un forte tanfo che faceva venire in conati di vomito. Il ragazzo riuscì solamente a vedere i tratti di un volto femminile. Quello fu abbastanza per conoscere il suo contenuto.
Ina aveva seguito Alessandro e domandò preoccupata:
“Perché sei scappato?”
“No!” Alessandro si alzò e si mise davanti alla cassa. “Vattene!”
“Cosa mi stai nascondendo?”
“Devi andartene!”
“Perché?”
“Me ne occupo io, Ina! È una mia responsabilità!”
“Io devo-”
“NO!” urlò Alessandro aggressivamente.
La ragazza arretrò, scioccata dalla reazione di lui.
“Tu non devi fare niente. Tu non saresti neanche dovuta essere qui. Ora torna in casa e lasciami fare il mio lavoro.”
“Ma, Alessandro-”
“Ti prego, vai via …”
Lei si coprì con la sciarpa e, senza dire una parola, si asciugò le lacrime e se ne andò. Alessandro si sentì uno stronzo per aver urlato ad una ragazza così fragile ma non voleva farle vedere sua zia in quello stato. Il ragazzo si inginocchiò e iniziò a scavare con le mani. Il sudore si mescolò con le lacrime, le forme iniziarono a distorcersi ma lui continuò a scavare. Alla fine seppellì la cassa e si lasciò cadere sulla sabbia. Si mise la mano in bocca per non far sentire i suoi lamenti, chiuse gli occhi e pianse in silenzio.

Alessandro rientrò nell’abitazione poco tempo dopo e quando non trovò Ina si spaventò, salì le scale che si trovavano sulla destra e si accorse che la ragazza si stava cambiando d’abito. Imbarazzato scese le scale silenziosamente e si dedicò nuovamente alle casse di legno. Notò che in una di queste c’erano delle vecchie pergamene risalenti a molti secoli fa. Alessandro ne aprì una. Le scritte erano in greco. Lui non conosceva quella lingua e si demoralizzò nel constatare che il contenuto delle pergamene sarebbe rimasto un mistero per lui.
Sentì dei passi alle sue spalle. Si voltò. Era Ina che indossava una specie di tuta da ginnastica costituita da due pezzi: un top nero che lasciava scoperta la pancia e delle pantacalze nere che avevano la caratteristica di coprire anche il piede, lasciando scoperte solo le dita e i talloni. Vedendola, Alessandro, arrossì e distolse subito lo sguardo.
“Scusami per prima” disse lui. “Non volevo essere scortese nei tuoi confronti, Ina.”
“Non … non ti preoccupare. Va tutto bene” fece lei con la sua voce delicata.
“Ne vuoi parlare?”
“Di mia zia?”
Lui assentì voltandosi verso di lei.
“Io, non …” Gli occhi di lei si bagnarono. Si tolse gli occhiali. “Scusami … preferirei parlare d’altro.”
“Mi dispiace, non avrei mai voluto causarti tutto questo. È colpa mia. Il dolore che senti è una mia responsabilità … è un mio torto.” Si alzò e si avvicinò a lei. “Ina, ti prometto che la pagherà. Vergil la pagherà per quello che ha fatto.”
Lei non disse niente. Non sapeva cosa dire. Si sentiva impotente. Bastava il solo sguardo di Alessandro per farla sentire piccola e irrilevante. Si tirò indietro. Riportò gli occhiali al viso e si diresse verso le scale.
“Posso farti una domanda?” disse Alessandro incuriosito. “Perché ti sei vestita in quel modo?”
“Yoga. Non posso farlo con degli abiti scomodi, rischio di perdere la concentrazione.”
“Perché devi fare yoga?”
“Non te l’avevo già detto?” domandò lei incerta.
“Mi avevi detto che puoi ottenere dei poteri con lo yoga ma non so altro.”
“Non è così semplice.” Si avvicinò a lui e si mise a posto gli occhiali. “Vedi, mentre un magus usa i Circuiti Magici per fare una magia io uso lo yoga. Ognuno di noi possiede un’esperienza religiosa chiamata Kundalini e grazie allo yoga io posso risvegliare Kundalini, tuttavia non è una cosa semplice e io ammetto di essere ancora alle prime armi. Quello che faccio, in pratica, è svolgere un’attività yogica con lo scopo di attivare i diversi chakra nel mio corpo attraverso l’ascensione di Kundalini; il suo passaggio risveglia i chakra e per ogni chakra risvegliato ottengo delle siddhi, ovvero delle capacità magiche, che però posso usare solo per un giorno intero.”
“Va bene, credo di capire cosa stai dicendo … ma … quindi vuoi fare yoga adesso? Per risvegliare questi poteri magici?”
“Esatto. Se siamo in guerra allora devo prepararmi.”
“Hai ragione.” Lo disse con un po’ di titubanza. “Ti lascio fare quello che devi fare io … ehm … intanto preparo da mangiare.”
“Ne avrò, credo, per almeno tre ore, quindi abbi pazienza. Scusami.”
“Certo, certo …”
Ina tornò al piano superiore mentre Alessandro rimase al pianoterra. Egli aveva ancora l’amaro in bocca per come aveva reagito con Ina e, in cuor suo sperava, di incontrare subito Vergil per poterlo uccidere e porre fine alla guerra. Un’altra parte di sé, invece, era tremendamente spaventata dall’idea di lasciar combattere una come Ina la Guerra del Santo Graal.
Lui conosceva i rischi di quel conflitto. Aveva visto tante persone morire e non aveva intenzione di lasciare Ina ad un medesimo destino.
La sua mente tornò a quella cassa che aveva appena seppellito. I suoi occhi stavano per bagnarsi ancora ma lui li asciugò subito, fece un respiro profondo ed uscì dall’abitazione per assaporare dell’aria fresca.
“Cosa dovrei fare?” mormorò fra sé e sé. “Come posso impedire la morte di Ina?”

Dopo circa tre ore Alessandro e Ina si incontrarono di nuovo al pianoterra e stavolta erano lì per cenare. Sul tavolo c’erano tre fette di pane per ognuno, due bottigliette d’acqua e anche due mele.
“Non è la migliore cena che abbia mai fatto, ma non è neanche la peggiore. Serviti pure.”
Ina indossava ancora la sua tuta ma stavolta si era portata dietro anche la sciarpa.
“Apanē bhōjana kā ānanda lēṁ” disse lei.
“Cosa significa?” domandò lui confuso.
“Buon appetito. Tu come lo diresti?”
“In romanesco: panza mia fatte capanna” rispose sorridendo. “Anche se in questo caso sarebbe spazio sprecato.”
“Quindi vieni da Roma?”
“Sì. Tu di dove sei?”
“Chennai. Si trova nello stato di Tamil Nadu.” Iniziò a mangiare.
“Cosa avresti mangiato a quest’ora? Se non fossi stata qui, intendo.”
“Kootu” rispose lei subito.
“Cos’è?”
“Uno stufato di verdure con l’aggiunta di lenticchie. È il mio piatto preferito in assoluto.” Fece una breve pausa. “Mia zia adorava prepararmi lo stufato e mi insegnò anche come fare. Mi ha anche insegnato a fare altri piatti che amo, come il puttu.” Si asciugò gli occhi. “Scusami.”
“Va tutto bene. Non ti preoccupare.”
“Che mi dici di te? Qual è il tuo piatto preferito?”
“Non ho un ‘piatto preferito’.”
“Ti piacciono le mele?” domandò Ina incuriosita.
“Abbastanza. Quand’ero piccolo ne mangiavo tantissime, però. Mio padre mi diceva che esisteva questa ‘fata delle mele’ che si preoccupava di portarmene sempre una. Per ogni mela mangiata sarei diventato più leggero e un giorno mi sarei innalzato e avrei volato con lei. Era una bella favola, peccato che uscì dalla bocca di un uomo così tremendo.”
“Scusami se te lo chiedo, ma cosa intendi dire?”
“Be’,” iniziò a sbucciare una mela “oltre ad avermi abbandonato so che aveva anche cercato di sacrificarmi per evocare un serpente divino chiamato Nidhoggr. Come se non bastasse egli è la causa dell’esistenza del peggior essere mai esistito in questo mondo.”
“Chi?”
“Yukiko Kumahira.” Tagliò la mela a metà. “La prima volta che guardai mia sorella negli occhi percepii l’inferno. Quello non era lo sguardo di una persona che era stata maltrattata dal padre, come me, no … quelli erano gli occhi di una ragazza che desiderava soltanto distruggere ogni cosa. Lei è stata la causa della Guerra del Santo Graal di Yggdrasil.” Fece una pausa. “Quella che distrusse Londra.”
“Credi che sia ancora coinvolta?”
“Non lo so. Ma so una cosa: Vergil è come lei. È un essere depravato che gode nel far soffrire la gente.”
“Hai detto di non conoscerlo, prima.”
“Infatti non lo conosco. Ma certe persone … capisci subito come sono.” Tagliò la parte della mela che conteneva i semi. “Stanotte evocheremo i Servant.”
“Quindi iniziamo questa … guerra?”
“Sì. Domani mattina inizierà tutto. Inizierà la guerra. Resta al mio fianco, Ina, e ti prometto che non morirai.”
Alessandro disse quelle cose ma non era sicuro di essere capace di proteggere quella ragazza che aveva di fronte. Aveva paura di sbagliare. Aveva paura di fallire. Ecco perché aveva un immediato bisogno di Giulio Cesare.
Dopo aver cenato i due spostarono il tavolo e le sedie per far spazio al centro della stanza. Alessandro prese fuori uno dei libri di magia che era in una cassa di legno. Gli diede una veloce occhiata e disse:
“Questo è un manuale per combattere questa guerra, a quanto pare Vergil vuole fare le cose in modo preciso. Secondo il testo nel conflitto combatteranno sedici Servant divisi in due gruppi: Alfa e Omega. Ci sono anche le istruzioni per disegnare i glifi che ci serviranno per l’evocazione.”
“Scusa, anche nell’altro conflitto era così?”
“No. L’altro fu molto più ‘libero’.”
“Quindi ora che si fa?”
“Si disegna.”
Alessandro preparò entrambi i glifi e posizionò su ognuno le reliquie.
“Dunque, Ina, ora dovrai canalizzare la tua energia magica verso la reliquia. Sai come fare?”
“Sì, credo di sì.”
“Bene, allora recita la formula magica con me.”
I due dissero all’unisono:
L’oriente è protetto dall’Aquila, l’occidente dal Toro, il meridione dal Leone e il settentrione dal Cane. I Quattro Guardiani scelti dalle Sette Sorelle concedono a te, eroe del passato, di dimostrare il tuo valore e di combattere fino alla morte sotto lo sguardo di Mercurio; giacché l’uomo con il fuoco nella destra e il libro nella sinistra e la nottola sul capo ha scelto te, Spirito Eroico, non cercare altro che la gloria. Usa la spada, l’arco, la lancia, il bastone, il martello, il pugnale, il destriero e la voce per distruggere i tuoi nemici e raggiungere il Desiderio Celeste! Io evoco te, mio Servant!
Entrambi i glifi si illuminarono e improvvisamente apparvero i due Servant. Davanti a Ina Shandilya si presentò un uomo alto, muscoloso, con capelli bruni e un pizzetto; i suoi occhi erano gialli e sul capo aveva una corona d’alloro. Egli indossava soltanto delle mutande di seta, attorno a sé fluttuava una fascia rossa e viola; il suo braccio destro era dorato.
Ina, vedendo quell’uomo, arrossì e si nascose dietro la sciarpa. Egli sorrise ed esclamò solennemente:
“Io sono α Rider ma tu puoi chiamarmi Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto. Io sono il primo imperatore di Roma, sono il Figlio del Sole e sono il padrone assoluto di ogni gente. Sono al tuo servizio, Master.”
Alessandro Serpi vide uscire dal fumo quella donna dall’aspetto divino. Non indossava la stessa armatura dell’ultima volta e persino la sua spada aveva un aspetto diverso, ma non ci si poteva sbagliare sulla sua identità. I suoi capelli erano bianchi come la luna e i suoi occhi erano rossi come le rose. La ragazza, rivedendo Alessandro, sollevò un sorriso commosso ma poi, notando che c’erano altre due persone presenti, decise di mettersi un po’ in mostra e così esclamò con movenze teatrali:
“La mia classe in questa guerra è α Saber! Inchinati a me! Gioisci della mia presenza! Io sono la prima dei Dodici Cesari, sono la Pater Patriae e Divus Iulus, discendente di Enea e di Romolo. Nelle mie vene scorre il sangue divino di Venere, dea della bellezza, e di Marte, dio della guerra. Io sono Gaio Giulio Cesare!” Si avvicinò al Master e con un sorrisetto aggiunse: “Sono stata evocata da te, quindi deduco che sia tu il mio Master, Alessandro Serpi.”
“Bentornata” disse lui, commosso.
“Sono tornata da te, Alessandro, proprio come avevo promesso. La mia lama è al tuo servizio. Dimmi chi è il tuo nemico ed io lo annienterò.”
“Bene, allora possiamo iniziare-”
“Mamma!”esclamò improvvisamente Augusto saltando addosso a Cesare.
“Eh?” Alessandro rimase attonito.
“L’ha appena chiamata ‘mamma’?” domandò Ina, perplessa.
“Io, credo che-”
“Ottavianuccio mio! Come stai? Ti vedo in forma” asserì Cesare abbracciando Ottaviano e coccolandolo come se fosse un bambino.
“O, mammina, tu non idea di quante cose ho fatto: ho sconfitto Marco Antonio, ho costretto Cleopatra a suicidarsi, ho conquistato l’Egitto, sono diventato imperatore …”
Alessandro si avvicinò a Ina e le mormorò:
“Prepara le sedie, ne avremmo per un bel po’.”
“Tu dici?”
“Se si mette a raccontarle tutte le Res Gestae allora sì.”
 
Bentornata, Cesare di BikoWolf